The Opera! Arie per un eclissi è un film di Davide Livermore e Paolo Gep Cucco. Va in sala il 20, 21 e 22 gennaio dopo una presentazione domenica 19 nel corso di un grande evento al Teatro alla Scala di Milano. Un’opera musical che è un ponte tra passato e futuro, lega la tradizione della lirica italiana alla contemporaneità del cinema. Per nuova visione di un mito che torna a vivere
The Opera! Arie per un eclissi è un film di Davide Livermore e Paolo Gep Cucco, con Valentino Buzza, Mariam Battistelli, Vincent Cassel, Fanny Ardant, Caterina Murino, Erwin Schrott, Rossy De Palma, Angela Finocchiaro, Linda Gennari, Charlotte Gentile, Sergio Bernal. È prodotto da Showlab con Rai Cinema, in collaborazione con Dolce&Gabbana e Digilife Movie, distribuito da Adler Entertainment. Sarà al cinema il 20, 21, 22 gennaio. Il 19 gennaio il cast presenterà il film in un grande evento al Teatro alla Scala di Milano. D-Wok, azienda di entertainment design, ha realizzato le ambientazioni per il set virtuale del film.
Sappiamo che il mito è eterno (altrimenti non sarebbe mito). Codifica verità umane e strutture esistenziali. Può essere riscritto, mutare, cambiare codice, linguaggio, trasmigrare. E se cambia conserva sempre il suo nocciolo originario, pur riuscendo, per sua natura, a diventare qualsiasi cosa. Così Orfeo e Euridice possono uscire da un bassorilievo del quinto secolo avanti Cristo e finire in un racconto del Simposio di Platone, fare un rapido passaggio attraverso le Georgiche di Virgilio e rispuntare nelle Metamorfosi di Ovidio.
Non importa se sono scolpiti nella pietra da Canova, o dipinti da Corot; se a dare loro voce sarà Rilke in uno dei suoi indimenticabili sonetti, o Cesare Pavese, che a Orfeo fa dire parole che sono sì del mito, eppure più intime e personali di un diario: «Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi». Saranno comunque sempre Orfeo ed Euridice: la storia di un amore tanto profondo quanto fragile, capace di andare oltre la morte, e allo stesso tempo incapace di resisterle.
Così in The Opera! Arie per un’eclissi, il film diretto da Davide Livermore e Paolo Gep Cucco, il mito rinasce sotto una luce moderna, vibrante e spettacolare. Nelle sale il 20, 21 e 22 gennaio, questa “opera-musical” è un ponte tra passato e futuro, che lega la tradizione della lirica italiana alla contemporaneità del cinema. Il risultato è una nuova visione del mito di Orfeo ed Euridice, che tornano così di nuovo a vivere.
Un mito rivisitato: il viaggio di Orfeo
In questa reinterpretazione, Orfeo (Valentino Buzza), musicista e semi-dio, si avventura nell'Hotel Hades, un regno onirico e metafisico, per recuperare la sua amata Euridice (Mariam Battistelli), scomparsa nel giorno del loro matrimonio. A portarlo in quel mondo sarà Vincent Cassel, magnifico Caronte alla guida di un taxi scassinato. Ma si capisce ben presto che il viaggio che attende Orfeo rappresenta qualcosa che va oltre il materiale: è un percorso nella psiche che porrà il protagonista di fronte a inaggirabili sfide esistenziali.
Nella rivisitazione contemporanea, riaccade quello che scriveva Giorgio Colli in La sapienza greca: «Orfeo racconta dei miti: tuttavia dalla visione mitica si irradia il pensiero, o meglio, dall’intuizione si sgomitola il filo sconfinato e intrecciato del pensiero».
Così il confine tra reale e immaginario si dissolve, diventa appunto pensiero, e allo stesso tempo prende concretezza materica all’interno degli ambienti metafisici del set ispirati alle opere di De Chirico e al razionalismo di Nervi. Il film infatti è stato girato quasi interamente in un set virtuale, capace di creare ambienti realistici e surreali allo stesso tempo. Siamo all’inferno ma sembra di essere all’Eur.
Il mondo, pare dirci The Opera, è un’illusione: materia dei sogni, una storia raccontata da un pazzo: «Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena». Oppure è il palcoscenico, in questo caso lo schermo, a essere il mondo, e gli attori altro non sono che l’umanità portata alle sue estreme conseguenze. Con le sue paure, i suoi limiti, i suoi eccessi, i suoi desideri, le sue fragilità. Attraverso epoche, luoghi e spazi diversi, la narrazione – accompagnata dalle più celebri arie liriche rivisitate – guida lo spettatore in una riflessione profonda sull'amore, la perdita e il destino.
L'intreccio, che si dipana come un moderno poema epico, conserva la potenza simbolica del mito originario. La discesa di Orfeo nell'Ade, il suo scontro con le regole della morte e la prova del non voltarsi indietro, sono da secoli metafore potenti.
Segni di un’umanità semidivina in perenne conflitto con la natura mortale del mondo. Immagini allegoriche che trovano nuova linfa nella regia visionaria di Livermore e Cucco. I personaggi prendono vita grazia a un cast d’eccezione, dove si incontrano grandi nomi del cinema internazionale e talenti emergenti della lirica.
Dal già citato Vincent Cassel sino a Fanny Ardant, che veste i panni di una sofisticata Proserpina, signora dell'Ade. Rossy De Palma è Atropo, una delle Moire, e il celebre basso Erwin Schrott incarna Plutone, antagonista enigmatico e imponente. Ma è nei due protagonisti, Valentino Buzza e Mariam Battistelli, che il film trova il suo cuore pulsante. Entrambi sono sia attori che cantanti lirici di talento.
L’arte dell’opera-musical
The Opera! non è solo cinema, ma una vera e propria opera-musical. La musica è infatti il cuore pulsante del film. Il canto è l’unica arma nelle mani di Orfeo, come nel mito originario. Il mito vuole che Orfeo, figlio della Musa Calliope, con la sua lira fosse capace di incantare sia animali che uomini.
La sua è una musica apollinea, conciliatrice e portatrice di purezza. È a questa immagine che tante versioni musicali si sono rifatte, dalle opere di Rinuccini e Gluck, alla musica classica di Stravinskij e Monteverdi, per arrivare alle versioni del mito date da Roberto Vecchioni e Carmen Consoli, e perfino dagli Arcade Fire.
In questa tradizione si inserisce il lavoro di Livermore e Cucco, fondendo recitazione, canto lirico, pop, effetti speciali e arti visive. La colonna sonora, diretta da Plácido Domingo e Fabio Biondi, spazia da Puccini e Verdi a contaminazioni contemporanee con il pop e l'elettronica.
Un esempio perfetto di questa sintesi è l’uso innovativo di brani come The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood, riarrangiato per orchestra barocca ed elettronica, o Il Lamento della Ninfa di Monteverdi, reinterpretato dalla cantante Ane Brun. A delineare l’estetica del film ha contribuito anche la partecipazione di Dolce&Gabbana come coproduttori: i costumi sono un omaggio alla moda italiana, e contribuiscono a creare un universo dove la materia emotiva si bilancia con la tenuta estetica.
Il mito eterno
Platone nel Gorgia, citando Euripide, scrive: «Chissà se il vivere non sia morire e il morire invece vivere?». Nelle Metamorfosi di Ovidio, Orfeo scende agli inferi alla ricerca di Euridice, morta per il morso di un serpente, e arriva di fronte ad Ade e Persefone per fare la sua richiesta. Ovidio scrive che «per la prima volta s’inumidirono di pianto le gote delle Eumenidi vinte dal canto; e neppure la regina, neppure il re del profondo ebbero il cuore di rifiutare».
La musica di Orfeo è ancora una volta il suo potere, eppure quando si ricongiunge con Euridice «si avviano nel più muto silenzio» sul percorso che dovrebbe trarli in salvo. E nel silenzio Orfeo si volta, nel silenzio ogni cosa si perde. In The Opera invece non c’è silenzio: quando Orfeo e Euridice si incontrano cantano Lascia ch’io pianga di Händel, e poi di nuovo Orfeo deve cantare.
La condizione imposta dagli dèi inferi in questo viaggio visionario di Livermore e Cucco non è il non voltarsi, ma che Orfeo si ricordi, dopo aver cantato, per chi sta cantando. E anche se gli esiti ci riporteranno anche questa volta a una sconsolata realtà, questo viaggio onirico di musica, estetica e parole, ci farà tornare in mente la domanda di Euripide: e se morire fosse vivere? Se l’amore – come anche l’arte – fosse sempre anche un po’ un morire?
È un modo, questo, forse tra i più moderni e interessanti, di riscrivere oggi quel genere austero e per tanti incomprensibile che è l’opera lirica: una forma di attualizzazione che non è solo il tentativo – a volte estenuante – di infilare la tradizione in abiti e scenari moderni, ma di sovrapporre i piani del passato e del presente, mostrando così i punti di contatto, i cortocircuiti, le differenze di codice e anche – lì dove ci sono – i nodi dove s’intravede qualcosa di fisso e immutabile che riguarda le relazioni tra le persone, la convivenza civile, la condizione umana. In altre parole: trovare, nella grande opera lirica – una delle più grandi risorse della tradizione italiana – ciò che non è solo cultura, ma mito.
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