La reale disponibilità di abitazioni è una questione nodale del patto sociale di un paese, con cui si stabilisce la divisione sociale dello spazio e del patrimonio abitativo fra le classi sociali. Ne hanno discusso amministratori locali ed esperti nell’ambito di un panel organizzato dal Centro nazionale di studi per le politiche urbane Urban@it nell’ambito del secondo Forum nazionale per le Alleanze Giuste, svolto a Bologna fra il 4 e il 7 dicembre.

L’abitare è evidentemente connesso a settori produttivi verso i quali c’è stata sempre una particolare attenzione anche per il ruolo di traino che secondo alcune teorie economiche il settore delle costruzioni svolge, aggregando, intorno al mattone o al cemento, interessi molteplici per tutti i comparti che producono beni per costruire, arredare e far funzionare le case e i servizi direttamente connessi.

Il modello italiano ha alcune peculiarità: attenta difesa degli interessi dei costruttori e degli immobiliaristi, come pure dei medi e piccoli proprietari, considerando ad esempio l’anomalia dell’abolizione di tasse sulla prima casa di proprietà come pure la pochezza delle tasse di successione. Questo in un paese ove l’ampia maggioranza dei singoli proprietari ha poche case da offrire in locazione.

Le politiche italiane 

L’Italia è quindi un paese ove le politiche hanno progressivamente svilito e non hanno protetto le locazioni. Solo in poche città le pur utili agenzie per la casa hanno calmierato (molto poco) le tensioni abitative. I tagli governativi al fondo per il sostegno degli affitti hanno aggravato la situazione.

Di fatto, da almeno cinquant’anni, nel paese opera una filiera di interessi che spingono in ogni modo l’accesso alla casa attraverso il suo acquisto molto di più che con il fitto. Da tempo è evidente la sottrazione di quote di patrimonio di case in fitto. Questo per la crescita dei fitti brevi per turisti (forte soprattutto in alcune città) o per altri tipi di abitanti temporanei. Fenomeno per cui alcuni sindaci invocano da subito l’estensione della normativa speciale per Venezia alle altre città d’arte. Si nota poi anche un fenomeno più recente di sottoutilizzazione o il disuso di abitazioni sia nelle città che in zone sostanzialmente abbandonate.

Nelle città il fenomeno segnala una sorta di attesa da parte dei proprietari che ritengono sconveniente locare le loro proprietà e non hanno alcuno stimolo o vincolo a farlo da parte delle autorità. Nei piccoli centri invece le case vuote – soprattutto delle aree interne – segnalano usi stagionali o l’abbandono da parte di molti abitanti che si spostano per motivi di lavoro e di opportunità di vita. Nelle città è evidente anche la progressiva individualizzazione dell’abitare con nuclei mono persona.

Una progressiva individualizzazione con singole persone che, pur avendo relazioni di coppia, vivono ciascuno in una propria casa, duplicando così i consumi di base in termini di arredi, elettrodomestici, energia, trasporti. L’insieme dei fenomeni poi evidenzia un caleidoscopio di profili di domanda che va affrontato con strumenti più sofisticati e approcci plurali, abbandonando anche il modello novecentesco di abitazione tipo.

Quindi la questione è articolata in diversi aspetti che richiedono un salto di qualità delle politiche per consentire livelli di maggiore esigibilità del diritto all’abitare.

Tutti gli esperti, che ovviamente propongono anche analisi diverse, concordano sull’evidenza che in Italia da molti anni manca una complessiva politica per tutelare il diritto all’abitare da parte dei soggetti più fragili. La problematica è resa acuta da fenomeni convergenti.

I problemi 

Le difficoltà nel realizzare una efficace riforma del catasto e nel ripensare in termini progressivi ed equi politiche fiscali sul patrimonio e sulla successione dei beni, segnalano la radicalità delle questioni nel patto sociale condiviso o imposto del paese.

È grave poi il sostanziale depotenziamento delle politiche per la costruzione, gestione e manutenzione degli alloggi pubblici. Si stima vi siano in Italia 320mila famiglie (quasi un milione di persone) nelle graduatorie degli aventi diritto ad un alloggio pubblico, senza considerare poi quelli che per sfiducia non hanno neanche presentato domanda o non hanno diritto solo per questioni amministrative. Una massa di persone che per ora non ha alcuna prospettiva di accedere ad un alloggio pubblico a prezzo calmierato.

Anche la gestione del patrimonio di alloggi pubblici è spesso carente: per la consistenza delle case non abitate (almeno il 10 per cento), i livelli di morosità sostanzialmente non contrastata e la legittimazione culturale per cui gli eredi dei vecchi assegnatari, pur non avendo più i requisiti di reddito incapiente, di fatto vivono come proprietari pagando canoni irrisori anche in aree di medio pregio nelle città.

Il social housing (quasi inesistente al sud) che dovrebbe offrire alloggi a prezzi moderati al ceto medio che trova difficoltà a trovare casa nel mercato privato, non riesce a dare risposte di massa ancor più dopo che i costi di costruzione sono aumentati e considerati incomprimibili.

Con il nuovo decreto sicurezza in diverse città nei prossimi mesi potranno emergere altri problemi di ordine pubblico con forze di polizia che potranno imporre gli sgomberi e i comuni che non hanno i mezzi per far fronte al grave disagio abitativo degli occupanti.

Pertanto fra gli esperti e gli amministratori che si occupano della questione è sostanzialmente condivisa la necessità di una strategia nazionale per l’effettiva esigibilità del diritto all’abitare intesa come questione di interesse pubblico che non può riguardare solo il ruolo del patrimonio pubblico. Una strategia che richiede l’impiego di risorse economiche consistenti per cui serve una ridefinizione del patto sociale che orienti i bilanci pubblici di livello europeo nazionale e locale.

Un approccio nuovo 

Occorre anche un approccio innovativo. Ad esempio sia per gli studenti fuori sede che per altri segmenti di domanda come quella crescente degli anziani soli, occorre immaginare il riuso di complessi ereditati dal passato (ex conventi, caserme, ospedali) che vanno riadattati per forme ibride e innovative di convivenza.

Per tutto questo, tenendo conto anche dei limiti delle politiche dei bonus che hanno colpevolmente favorito molto di più i garantiti senza svolgere un ruolo di possibile riequilibrio delle opportunità, considerando la complessa articolazione delle condizioni di vita e il rischio della cristallizzazione di privilegi, è indispensabile immaginare e operare per costruire alleanze che riescano a tutelare obiettivamente meglio gli interessi dei settori più fragili.

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