«Che vuol ch’io faccia del suo latinorum»: così protestava Renzo Tramaglino, il promesso sposo del Manzoni, al cospetto di Don Abbondio e della sua lista di impedimenti alle nozze, tutta in latino, attraverso un’espressione entrata nell’immaginario popolare, un ipse dixit.

La logica degli specialisti del brand, in tutti i settori di mercato e anche del calcio, non ha nulla a che fare col diritto canonico, né si parla qui di impedimenti, ma dell’eliminazione di ciò che, nell’epoca commerciale in cui si deve semplificare il semplificabile, viene considerato superfluo, ed è così che, oltre a loghi sempre più riproducibili, il mondo del pallone ha finito per sacrificare anche i motti che, per anni, i vari club hanno portato con orgoglio all’interno o ai margini dei propri stemmi, quando ancora li si chiamavano stemmi – o addirittura scudetti – e non, più prosaicamente, loghi.

Dominava il latino, in certe epigrafi e, se è vero che in tanti casi certe sentenze apparirebbero ormai senza senso, va da sé che, per chi le ha scelte a suo tempo, equivalevano a dichiarazioni di poetica, figlie di un altro calcio e, più in generale, di un’altra società, e allora non è un caso se gran parte dei motti, soprattutto quelli latini, a lungo hanno impreziosito gli stemmi dei club inglesi.

In Premier league

Il Manchester City ha da poco abbandonato «superbia in proelio», orgoglio nella battaglia, ma prim’ancora l’Arsenal aveva accantonato «victoria concordia crescit» (la vittoria aumenta con la concordia), il Tottenham ha pensionato da alcuni anni l’«audere est facere» (osare è fare) che completava il suo stemma, e così hanno fatto Sheffield Wednesday («consilio et animis», con saggezza e coraggio) e Stoke City («vis unita fortior», una forza unita è più forte).

Il primo logo della Juventus, dal 1905 al 1921, era sovrastato da una pergamena che recitava «non coronabitur nisi qui legitime certaverit», motto attribuito a Paolo di Tarso che significa, sostanzialmente, non sia incoronato se non chi ha combattuto secondo le regole. Che, per il calcio nostrano e l’Italia in generale, ha davvero poco senso.

Qualcuno ancora resiste. All’Everton, per esempio, nel 2013 era scomparsa l’epigrafe «nil satis nisi optimum», cioè nulla è abbastanza se non l’ottimo, reinserita a furor di popolo un anno più tardi, e pazienza se, di optima, da quelle parti non ne vedono da anni.

Rimane «arte et labore» a corredare lo stemma dei Blackburn Rovers, mentre in Scozia il Kilmarnock, sopra la mano con indice e medio uniti e il pollice rilassato in un gesto di benedizione, inserisce «confidemus», noi crediamo, ripreso dallo stemma e dal motto («confido») dello storico clan Boyd: c’è un’intera storia, dietro quel motto.

In Portogallo

Il logo del Benfica, tra l’aquila e il pallone, dal 1904 porta la frase «e pluribus unum», ovvero uno da molti, a identificare l’unione dei soci in un solo club. Un solo club, certo, il cui stemma per anni è stato mutuato, per elementi e colori, dal Santa Clara, società delle Azzorre il cui logo differiva solo nel monogramma e, appunto, nell’epigrafe, che in quest’ultimo caso era il classico «mens sana in corpore sano».

Da pochi mesi, tutto però è cambiato, perché la società di Ponta Delgada ha deciso di rivoluzionare la propria immagine partendo, appunto, da un logo che il motto non lo contempla più e dell’aquila ha solo il muso, rigorosamente stilizzato. «Mens sana in corpore sano» resta però al centro dello stemma dell’Anderlecht.

Il San Marino, club della Repubblica iscritto alla Figc e tempo addietro salito sino alla C1, mette alla prova le conoscenze verbali dei liceali che furono con un «Titanus aggressurus Olympum», dove fa originale mostra un participio futuro secondo il quale il Titano è in procinto di attaccare l’Olimpo. Suggestivo, vero?

Il Marsiglia mantiene da decenni il suo imperativo in francese, «droit au but», cioè dritto al traguardo, all’obiettivo, insomma al gol, e del resto but proprio gol significa oltralpe, il Liverpool ha inserito da tempo «you’ll never walk alone», così come lo si legge nel fregio del cancello storico di Anfield, ma segnala in latino la data di fondazione, «est 1892».

L’Aston Villa ha ripristinato, sotto il leone, il motto «prepared», mentre a Belfast il derby tra Linfield e Glentoran è anche tra chi, i primi, portano nel logo il motto «audaces fortuna juvat» (proprio con la j: il noto la fortuna aiuta gli audaci) e i secondi la cui scelta è caduta sul francese «le jeu avant tout», il gioco prima di tutto.

Su quest’ultimo solco, tornando al latino, è una squadra scozzese con la maglia a strisce orizzontali bianconere e un nome aristocratico a mantenere nel logo un motto che, a ben guardare, rappresenta esattamente lo spirito del calcio degli albori. Si tratta del Queen’s Park, club di Glasgow attualmente partecipante alla Scottish Championship – la seconda divisione – che, in oltre centocinquant’anni di storia (venne fondato nel 1867), ha sempre mantenuto a margine dello stemma «ludere causa ludendi», ovvero giocare per il gusto di giocare.

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