La lettura delle Nuove Indicazioni 2025. Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione desta sorpresa e preoccupazione in coloro che in Italia si occupano dello studio e dell’insegnamento della cultura cinese, delle lingue e della storia del mondo sinico. In particolare, nella parte dedicata all’insegnamento della Storia, il paragrafo “Perché si studia la Storia” inizia con la frase: «Solo l’Occidente conosce la Storia» – che appare peraltro contraddetta o quantomeno ridimensionata da affermazioni seguenti delle stesse Nuove indicazioni – e suona come una provocazione davvero poco utile a chiunque, nelle scuole del nostro Paese, si confronta con il compito di trasmettere ai più giovani una conoscenza storica adeguata alla dimensione globale del mondo in cui viviamo, nell’ottica di promuovere una maggiore consapevolezza delle sfide per il futuro.
Intendiamo proporre alcune riflessioni per il dibattito pubblico, in tre punti:
1. La Cina conosce la Storia. Nelle Nuove Indicazioni, si nega la capacità di interpretazione critica del passato a tutte le civiltà mondiali con esclusione dell’ “Occidente”. Un ritorno all’idea colonialista dei “popoli senza Storia” – tutti i popoli hanno una storia, anche se può essere difficile ricostruirla in assenza di documentazione scritta, ma non è il caso della Cina – sarebbe perciò una provocazione che alimenta la polarizzazione di identità culturali contrapposte.

Nel caso della Cina, pare quasi ridondante dover ricordare la lunga storia e il valore della storiografia cinese che, ovviamente con un linguaggio diverso dal nostro, ha espresso lungo i secoli un identico bisogno di interpretare i fatti storici e di pensare e interpretare il passato in termini critici.

Suggerire che questa tradizione, parte integrante della cultura cinese, sia limitata a cronache dinastiche ripropone posizioni oramai ampiamente superate e viziate da un pregiudizio culturale. Una cosa è dire che l’approccio alla storia proprio del pensiero greco-romano o della tradizione cristiana ha caratteri specifici (andrebbe però quantomeno citata anche l’influenza sulla cultura europea dell’approccio ebraico alla storia e, in misura minore, di quello arabo-islamico); ben altra cosa è affermare che l’ “Occidente” è l’unico che conosce la Storia.

Come dichiarano anche le Nuove Indicazioni, è da definirsi «presunta» la «superiorità» che si afferma «nella coscienza europea ed occidentale del XIX secolo», sulla base della «propria storia» nei confronti «di ogni altra popolazione e cultura della Terra» che non riveste «ad occhi occidentali alcun significato, potendo essere quindi tranquillamente ignorata». Non si può non essere d’accordo con le Nuove indicazioni quando affermano: «Come ogni sapere umano pure la storia, insomma, offre il destro di essere piegata al pregiudizio e alla discriminazione».

Rileviamo tuttavia con perplessità che, nelle Nuove Indicazioni, lo spirito di contrapposizione tra l’ “Occidente” e il resto del mondo si evince anche dall’unico accenno alla storia dell’Asia orientale e che riguarda la Cina comunista, nella parte dedicata alla Guerra fredda, al terzo anno della Scuola secondaria di primo grado, evocando di fatto solo l’immagine di quel Paese come parte del blocco nemico dell’ “Occidente”, nel contesto bipolare della seconda metà del XX secolo, molto circoscritto rispetto alla storia millenaria delle relazioni tra Europa e Cina (e a quella, molto diversa, delle relazioni tra Cina e Nord America).

2. Perché usare la categoria di “Occidente”? Il concetto di “Occidente”, che riflette l’essenzializzazione di una dimensione culturale e temporale specifica, è vago dal punto di vista sia del tempo sia dello spazio. Che cosa intendono le Nuove Indicazioni per “Occidente” e rispetto a quale “Oriente” ne definiscono i confini?

Sono semplificazioni che possono risultare in una mistificazione della realtà storica, molto più complessa e articolata anche in rapporto solamente all’Europa. Inoltre, l’insistenza sulla storia d’Italia – a scapito della conoscenza del resto del mondo (Asia inclusa) – porterebbe a spezzettare la comprensione del passato nelle storie parallele di una molteplicità di Stati nazionali, isolando artificiosamente narrazioni nazionali, funzionali a una contrapposizione identitaria.

Oltre a esasperare pericolosamente le differenze, ciò è tendenzialmente astorico e antistorico, pur producendo conseguenze storiche, spesso nefaste. Alcune delle espressioni più alte della cultura storica europea si sono manifestate piuttosto nella capacità di comprendere e rispettare l’alterità e in quella di assumere il punto di vista dell’altro, se necessario anche criticamente, come insegna ad esempio la straordinaria esperienza di dialogo dei missionari gesuiti italiani ed europei nell’impero cinese del tardo periodo Ming e del periodo Qing. Le nuove generazioni di studenti che frequentano la scuola italiana (tra cui tanti appartengono a famiglie di origine etnica e culturale diversa) necessitano di una conoscenza della storia che dovrebbe creare uno spirito di appartenenza a una comunità basata su valori civici condivisi.

L’enfasi su una distinzione irriducibile fra l’ “Occidente” e gli “altri”, come la Cina, rischia di produrre esclusione e non inclusione.

3. Estrapolare citazioni di Marc Bloch, per affermare un nuovo concetto di Storia, è arbitrario e fuorviante. Le stesse Nuove Indicazioni ricordano che, per Bloch, la storia è «scienza degli uomini nel tempo» (e non «la conoscenza e il giudizio sul passato» come affermano altrove). Sarebbe inoltre stato opportuno ricordare che le sue profonde riflessioni sul «mestiere di storico», si inserivano in un articolato e complesso discorso, collocato nell’esperienza delle Annales, che andava nella direzione di un allargamento degli orizzonti geografici della disciplina e di una considerazione rispettosa di tutte le culture.

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