Inaugurando l’anno scolastico a Cagliari, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto: «La scuola è movimento». Niente di più vero. In un mondo che cambia rapidamente a scuola si anticipa il futuro, lo si immagina e sogna, lo si costruisce insieme a tutta la comunità educante.

In prima fila ad ascoltarlo c’era il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che di certo avrà pensato di stare rappresentando questo «movimento». Sì, perché in questi due anni non sono mancati atti e decreti del suo ministero. Peccato che il movimento impresso sia in realtà all’indietro.

La destra di governo sta infatti promuovendo un modello di scuola che speravamo di aver consegnato ai libri di storia, quello che mira a separare chi ce la fa da chi resta indietro, seguendo persino qui lo slogan principale del melonismo secondo il quale non bisogna disturbare chi fa.

Un modello che, attraverso parole pronunciate e smentite, ma in fondo condivise da chi governa, torna di tanto in tanto persino a proporre classi ghetto.

Tornano i giudizi sintetici

È un movimento all'indietro, perché il sistema di istruzione in Italia, dal Dopoguerra in poi – e in particolare dalla riforma della scuola media unica – ha lavorato per diventare sempre più il luogo dell’emancipazione, grazie al quale un ragazzo che nasceva in contesti di svantaggio poteva sperare che, valorizzando il suo irripetibile talento, il suo destino fosse diverso da quello scritto per lui nel certificato di nascita.

Con la norma approvata nei giorni scorsi si aggiunge un altro tassello al processo con cui si vuole cancellare questa scuola democratica. Vengono eliminati con un tratto di penna i giudizi descrittivi che abbiamo introdotto quattro anni fa dopo aver ascoltato pedagogisti, insegnanti, famiglie e studenti.

E lo si fa senza neppure fare un bilancio, animati solo dalla foga ideologica di chi deve cancellare il lavoro dei predecessori. Con questa legge la destra si è assunta la responsabilità enorme di dire a un bambino di 7 anni che è “buono”, “discreto” o, peggio ancora, che è “insufficiente”, sentenza che suona inappellabile a quell'età.

Il voto in condotta

Per non parlare dell'articolo relativo al voto in condotta. Di fronte a fatti evidenti – ovvero che il disagio nei giovani cresce e che le aggressioni ai docenti sono intollerabili – questo governo cosa fa? Investe a sostegno della comunità educante? Introduce lo psicologo scolastico? No. La soluzione individuata sono le bocciature. Qualunque insegnante che ami il suo lavoro sa che un ragazzo bocciato, nella migliore delle ipotesi, se lo ritrova l’anno successivo peggio di come l’ha lasciato, nella peggiore va a ingrossare statistiche che sono la fotografia del fallimento della società, quelle della dispersione scolastica.

Insomma, l'esecutivo guidato da Meloni non investe un euro per contrastare il disagio dei ragazzi. Né per riconoscere la professionalità degli insegnanti. Facendo un grave errore perché l’autorevolezza dei docenti si recupera soltanto dando peso a quella professione.

Il modello di scuola proposto dalla destra, in definitiva, è ciò che don Milani chiamava «il grande ospedale che cura i sani e respinge i malati». Nel quale non c'è posto per chi è in difficoltà o rimane indietro.

Eliminare il fastidio

Ma la scuola della nostra Costituzione è altro: è aperta a tutti, è il luogo in cui i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi – non solo economici! – devono poter raggiungere i più alti gradi, non essere eliminati, rimossi, puniti. Il principio che anima la legge Valditara ha un nome: «Cultura dello scarto». Espressione cara a papa Francesco. E non è un caso che sia questa la linea rossa che attraversa tutti i provvedimenti di questo governo, dal decreto rave a quello Caivano, dall'autonomia differenziata al ddl Sicurezza: si mira a isolare chi è più indietro, chi ha un disagio, a punire chi disturba, a eliminare il fastidio, senza mai porsi il problema di come ricucire, integrare, unire. Continueremo a batterci per contrastare questo tentativo di spaccare il paese, la società e ora persino la scuola. In parlamento e nelle piazze.


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