Viktor Orbán genera sconcerto per i suoi viaggi a Mosca, ma che dire di Marine Le Pen, che tiene la regia di un gruppo “patriota” assieme a lui? La leader del Rassemblement National che vuole portare la Francia a un ripensamento sulle armi per Kiev oggi farà i conti dei seggi vinti.

Le urne sono francesi, gli effetti sono europei: con questo secondo turno Parigi sta segnando i destini di tutta Europa. Paese fondatore, propulsore e talvolta anche sabotatore dell’Ue, la Francia è stata capace di grandi slanci – come quello essenziale della condivisione di risorse con la Germania nel dopoguerra – ma pure di grandi retromarce: è nelle urne francesi, in un referendum del 2005, che fallisce il progetto di una Costituzione europea, sotto lo spauracchio del plombier polonais, l’idraulico polacco, in generale la concorrenza a basso costo da Est.

Cosa aspettarsi ora? Sicuramente l’infragilirsi del progetto dell’Unione: né una estrema destra che ha nelle sue ragioni costitutive lo smantellamento del progetto, né una Francia resa più impotente da ingovernabilità e coalizioni vacillanti, possono rappresentare un buon segnale per europeisti e democratici.

La retromarcia

Il programma del Rassemblement National considera l’Unione europea solo in due modi: o non la contempla affatto (è uno dei temi più esclusi dai propositi di partito) oppure la considera con l’obiettivo di minarla dall’interno. «Rifiutiamo qualsiasi tentativo di trasferire all’Ue competenze nei campi della difesa e della politica estera»: i piani del Rn non sono per ampliare prerogative ma per mettere freni.

Anche se la “Frexit” come parola non va più di moda, una Francia che slitta a destra va indietro pure sull’integrazione, e lo conferma in varie forme Jordan Bardella stesso, per esempio quando disegna un paese che non versi a Bruxelles un solo euro di più di quel che riceve (il “rebate” congegnato da Thatcher).

Giuristi e storici hanno ripercorso i vecchi casi di coabitazioni, cioè di presidenze della Repubblica di colore diverso da quello del governo: è l’Eliseo a presidiare il Consiglio europeo – e quindi pure a nominare un commissario – ma l’approvazione del nome, così come il prosieguo dell’azione politica in Consiglio Ue, resta in mano ai ministri.

Si immagini una situazione non troppo disarmonica, un Bardella che a Matignon non arriva: basta questo a ritenere l’Europa salda? No, né si salverebbe politicamente Emmanuel Macron: una condizione di fragilità lo rende debole al tavolo delle trattative. Del resto la sua mossa di sciogliere il parlamento lo sta rendendo debole già al tavolo coi ministri macroniani stessi: faticano a dargli credito.

Macron, che ai tempi di Mario Draghi premier insisteva per dare un seguito all’indebitamento comune, e che poi ha proseguito con l’idea dei campioni industriali europei, si troverà dopo queste elezioni in una posizione scivolosa.

Per quel che riguarda gli interessi italiani, una voce francese incisiva avrebbe potuto sostenere ragionamenti comuni – va ricordato che la Francia proprio come l’Italia è appena entrata in una procedura per deficit eccessivo – e fare da contraltare alle sirene del rigore che ancora si sentono a Berlino. Invece la Germania è governata da un cancelliere socialdemocratico già azzoppato dal sorpasso delle destre alle europee, e anche Parigi non si sente tanto bene. Il motore francotedesco rischia per paradosso di trascinarci all’indietro.

Sponde per Putin

Anche se il Rn dovesse restare ben distante dalla maggioranza assoluta, come hanno pronosticato i sondaggisti sulla base delle desistenze nei collegi, e seppur l’elettorato si mobiliterà in reazione all’onda nera, Bruxelles e le capitali europee dovranno fare i conti con un centro nevralgico di potere che va sempre più in frantumi.

Di elezione in elezione, il grado di penetrazione delle istituzioni da parte dell’estrema destra è aumentato; vale per le istituzioni francesi, ma di riflesso pure per quelle europee. E una Le Pen arrembante in Ue non viene per costruire ma per distruggere.

Oltre ai legami di vecchia data con Vladimir Putin – che le ha fatto avere il suo endorsement per queste elezioni – ci sono quelli con i suoi avamposti europei, a cominciare da Viktor Orbán.

L’operazione di mascheramento portata avanti da Bardella sul dossier ucraino resta appunto solo una maschera: ne è prova non solo il no all’invio di truppe in Ucraina o a missili a lungo raggio, ma il proposito lepeniano di revocare il supporto militare francese a Kiev.

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