A partire dal 2022, le prove forniscono il nuovo indicatore, un tentativo di riconoscere, in base ai risultati del test e ai dati relativi al background familiare, gli studenti che manifestano segnali di disagio. Ma come fa un test standardizzato a fotografare un fenomeno complesso?
Pensato come una prova per valutare il sistema di istruzione, negli anni, il test Invalsi si è trasformato in strumento d’esame del singolo studente. «E di profilazione delle sue condizioni sociali», denuncia Flc-Cgil che ha portato avanti, insieme con Cattive Ragazze Ets, Alas, Roars, un reclamo al Garante della privacy affinché intervenga sulle modalità operative delle prove.
Per porre rimedio alla mancanza di trasparenza dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione non solo per la correzione delle prove – non sono noti i meccanismi per determinarne l’esito, cioè il livello di apprendimento da 1 a 5 in matematica, italiano e inglese. Ma anche per lo scopo con cui avviene la conservazione dei dati, in particolare da quando, con il decreto Pnrr del 2024, i risultati fanno parte del curriculum degli studenti, alla fine delle superiori, scelta a suo tempo aspramente criticata «dal punto di vista scientifico, educativo e politico» anche dal Coordinamento per la valutazione educativa (Cve) e dal Centro interuniversitario Crespi.
«Per quale motivo? Un giorno i datori di lavoro potranno visionare gli esiti? O saranno usati per l’accesso all’università? Non lo sappiamo. Perché il governo di questi dati è lasciato a un sistema informatico su cui non abbiamo garanzie». Come spiega, Manuela Calza della segreteria nazionale di Cgil scuola, «ogni prova ha un codice che rappresenta l’allievo per il percorso di studi. Così, sebbene al test è allegata una spiegazione sulla tutela la privacy, nella pratica, associare il codice allo studente è facile. Ed è probabile che le scuole lo facciano quando devono formare nuove classi per uniformarle, ad esempio. O in caso di allievi con bassi livelli di apprendimento per includerli nei progetti di recupero».
La fragilità
A partire dal 2022, infatti, le prove Invalsi forniscono alle istituzioni scolastiche anche un nuovo indicatore: la fragilità. Un tentativo di riconoscere, in base ai risultati del test e ai dati relativi al background familiare, gli studenti che manifestano segnali di disagio, così da attivare percorsi per contrastare la povertà educativa, come richiesto dal Pnrr. Ma come faccia un test standardizzato a fotografare un fenomeno complesso e perché considerare delle prove one shot più attendibili del lavoro dell’insegnante è proprio quello che si chiedono docenti, genitori, dirigenti scolastici e allievi critici nei confronti dell’espansione delle funzioni dell’Invalsi.
«Per fortuna gli insegnanti conoscono gli studenti. Così “interpretano” gli esiti delle prove per capire se sono effettive manifestazioni di carenze», spiega Rossella Latempa, professoressa in un liceo di Verona, per chiarire che i docenti sono a conoscenza dei risultati Invalsi quando decidono per chi avviare i percorsi di recupero, ma confrontano gli esiti delle prove con le reali necessità degli studenti: «Eppure, a chi ha fatto una brutta performance a causa di condizioni momentanee viene comunque assegnata la fragilità. Che conseguenze avrà per il futuro dell’alunno? E per le scuole, invece, che valore avrà la percentuale di fragili presenti? La capacità di ridurla diventerà un modo per valutare l’efficienza dei presidi?», si chiede Latempa, che fa parte dell’associazione Roars, tra quelle a sostegno del reclamo al Garante della privacy depositato da due genitori, Barbara Piccininni e Silvia Vignozzi.
Mancanza di trasparenza
Leggendo il testo del reclamo presentato da Barbara Piccininni, madre di uno studente che ha sostenuto il test Invalsi lo scorso anno alla fine della terza media, si capisce non solo come non sia riuscita ad avere risposte soddisfacenti da Invalsi sulle finalità, i destinatari del trattamento dati personali del figlio, il periodo di conservazione e la loro origine. Ma anche come sia stato impossibile vedere la prova. E conoscere la logica utilizzata per determinarne l’esito.
«Invalsi ha motivato il diniego con il fatto che le prove non hanno “finalità didattiche”. Un’assunzione opinabile visto che si svolgono a scuola, gli studenti si preparano per svolgerle e i risultati rimangono nel cv», spiega Piccininni che racconta come, sebbene avesse deciso di non fornire i dati di contesto – nazionalità, occupazione, ad esempio – a suo figlio siano state chieste informazioni di background durante lo svolgimento del test. «Senza sottolineare che rispondere non faceva parte del compito e che quindi mio figlio si sarebbe potuto rifiutare», conclude la madre, chiedendosi che tipo di attendibilità si può dare a informazioni chieste a chi non è detto che abbia contezza del titolo di studio dei genitori o del tipo di contratto di lavoro.
«Ci si attende un cambio di passo anche dalle istituzioni, a partire dal ministero, che devono avviare interventi per il contrasto alla povertà educativa che va affrontata nei processi di apprendimento e non con una massiva rilevazione standardizzata», chiarisce ancora Calza, che sottolinea l’importanza del Reclamo per spingere Invasi a chiarire gli aspetti poco trasparenti che accompagnano i test, che coinvolgono milioni di allievi ogni anno, tra scuola primaria e secondaria: «Viene violato il diritto di studenti e genitori a ricevere una valutazione trasparente e tempestiva, come stabilito dallo Statuto delle studentesse e degli studenti, oltre che dal Gdpr». La sindacalista ritiene che i test debbano tornare a essere rilevazioni a campione per conoscere lo stato del sistema di istruzione, non strumenti di valutazione dei singoli.
«Ma anche prendendoli come fotografia del sistema per aggiustarlo il miglioramento non è avvenuto», fa notare Lorenzo Varaldo, preside dell’Istituto complessivo Sibilla Aleremo di Torino: «Si parla sempre degli stessi problemi, come la scarsa comprensione dei testi e le difficoltà di scrittura. Cosa si sta facendo per porvi rimedio? Niente di strutturale».
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