In relazione ai fatti ritenuti idonei ad integrare il reato contestato a Dell'Utri, il problema è quello di verificare se le iniziative intimidatorie siano davvero “pervenute a destinazione” ossia se abbiano raggiunto Silvio Berlusconi, insediatosi nel maggio del 1994. Questo aspetto della vicenda è quello che – per i giudici – rimane controverso tanto che non può ritenersi provato in termini di piena certezza.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.
La sentenza di primo grado si è occupata della posizione di Dell'Utri Marcello riportando, anzitutto, l’imputazione elevata a carico di quest’imputato ossia l’aver concorso nel reato di minaccia, finalizzato a turbare l’attività del governo della Repubblica, commesso dai vertici dell’associazione mafiosa Cosa nostra, e, in particolare, di essersi attivato in relazione alle richieste di questi ultimi
“...finalizzate ad ottenere benefici di varia natura (tra l’altro concernenti la legislazione penale e processuale in materia di contrasto alla criminalità organizzata, l’esito di importanti vicende processuali ed il trattamento penitenziario degli associati in stato di detenzione) per gli aderenti all’associazione mafiosa denominata “Cosa nostra”.
Ponendo l’ottenimento di detti benefici come condizione ineludibile per porre fine alla strategia di violento attacco frontale alle Istituzioni la cui esecuzione aveva avuto inizio con l‘omicidio dell’on. Salvo Lima ed era proseguita con le stragi palermitane del ‘92 e le stragi di Roma, Firenze e Milano del ‘93”, ponendo in essere le seguenti specifiche condotte: “inizialmente proponendosi ed attivandosi, in epoca immediatamente successiva all‘omicidio Lima ed in luogo di quest‘ultimo, come interlocutore degli esponenti di vertice di “Cosa nostra “per le questioni connesse all ‘ottenimento dei benefici sopra indicati”. Successivamente rinnovando tale interlocuzione con i vertici di Cosa nostra, in esito alle avvenute carcerazioni di Ciancimino Vito Calogero e di Riina Salvatore, così agevolando il progredire della “trattativa”stato-mafia sopra menzionata, e quindi rafforzando i responsabili mafiosi della trattativa nel loro proposito criminoso di rinnovare la minaccia di prosecuzione de/la strategia stragista”; “agevolando materialmente la ricezione di tale minaccia presso alcuni destinatari della stessa ed in particolare, da ultimo, favorendone la ricezione da Berlusconi Silvio dopo il Suo insediamento come capo del governo”.
In tale approccio si è fatto riferimento alle risultanze probatorie già esposte su questa tematica (sempre nella Parte Quarta della medesima decisione) muovendo dalla figura di Dell'Utri quale emerge, innanzitutto, dalle sentenze irrevocabili acquisite agli atti, in particolare, ponendo i seguenti interrogativi: “...se nel 1992 il predetto imputato abbia in qualche modo istigato, sollecitato, stimolato o assecondato le minacce che il vertice di “cosa nostra” ebbe già allora a rivolgere al governo sotto forma di condizioni per la cessazione della strategia stragista, se, successivamente, il medesimo imputato abbia posto in essere condotte idonee a provocare o rafforzare nei responsabili mafiosi l'intento di rinnovare ancora la minaccia, se, poi, tale minaccia sia stata effettivamente formulata dai vertici mafiosi questa volta nei confronti del governo Berlusconi e, infine, se Dell‘Utri abbia fatto da tramite per far giungere la rinnovata minaccia mafiosa sino al Presidente del Consiglio Berlusconi”.
In relazione a simili quesiti è stato fissato un punto certo: “... la prima parte della verifica ha avuto esito negativo, poiché l’esame delle risultanze probatorie ha condotto alla sicura esclusione di un ruolo di Dell'Utri nelle vicende che, ad iniziare dal 1992, diedero luogo alla minaccia mafiosa in danno dei Governi in carica precedentemente a quello poi presieduto da Silvio Berlusconi dal maggio 1994 (v. Parte Quarta della sentenza, Capitolo 3)”.
Quest’affermazione, se vale ad escludere ogni coinvolgimento dell’imputato nel la “prima parte” della vicenda, cioè in riferimento alle condotte poste in essere nei confronti dei Governi precedenti a quello presieduto da Silvio Berlusconi e per le quali condotte lo stesso Dell'Utri è stato assolto in primo grado “per non avere commesso il fatto” - sia in relazione ad un suo presunto ruolo, dopo l’omicidio Lima, di “interlocutore degli esponenti di vertice di “Cosa nostra”, sia, sempre nel 1992, quale partecipe della condotta già scrutinata che può essere sinteticamente definita come la prima “trattativa stato/mafia” - vale, sotto altro profilo, a ribadire il concetto, che può ritenersi pacificamente acquisito, secondo cui le iniziative di Cosa nostra volte a minacciare il governo della Repubblica fatte oggetto di questo processo sono state più d’una e in riferimento ad esse Dell'Utri viene in rilievo in questo giudizio di appello soltanto per l’ultima, ovvero come “tramite” incaricato di veicolare la minaccia mafiosa di ulteriori iniziative stragiste al governo insediatosi nel maggio del 1994.
In proposito la sentenza impugnata ha rammentato che soltanto nella seconda metà del 1993 l’organizzazione mafiosa, accantonato l’originario progetto di “... dare luogo ad una propria formazione politica nella quale collocare direttamente soggetti che potessero rappresentare gli interessi di “cosa nostra”...” ha inteso “... sfruttare la nuova forza che si accingeva a debuttare nel panorama politico nazionale per iniziativa di Silvio Berlusconi . . .“ servendosi anche “... di Marcello Dell'Uitri per ottenere i benefici per gli associati che erano stati già oggetto dell‘azione ricattatoria stimolata dalla sciagurata iniziativa dei Carabinieri del Ros nel giugno del 1992 letta dai mafiosi come primo segnale di cedimento dello stato dopo la strage di Capaci, poi, ulteriormente confermato, nel successivo anno 1993, da altri segnali promananti dal settore carcerario in relazione all‘applicazione del regime del 41 bis (dall‘avvicendamento dei vertici del Dap. alla mancata proroga di molti provvedimenti di 41 bis)”.
Precisato che questa Corte condivide solo in parte quest’ultimo argomento, riferito alla c.d. “sciagurata iniziativa dei Carabinieri del Ros”, dal momento che tale iniziativa (per quanto effettivamente “sciagurata”) ha sì finito per innescare la minaccia al governo Amato e poi al governo Ciampi (resa evidente dalla mancata proroga dei decreti ex art. 41 bis in scadenza nel novembre 1993) ma senza che gli uomini del Ros condividessero tale proposito delittuoso, ciò che per il momento interessa focalizzare è il fatto che secondo la Corte di Assise il ruolo di Dell'Utri è circoscritto al reato contestato come commesso in danno del primo governo Berlusconi: “In questa fase, con l‘apertura alle esigenze dell‘associazione mafiosa “cosa nostra” manifestata da Dell‘Utri ancora nella sua funzione di intermediario con l’imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo “sceso in campo” in vista delle elezioni politiche che poi vi sarebbero state nel narzo 1994, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992 e si pongono le premesse della rinnovazione della minaccia in danno del governo, quando. dopo il maggio del 1994, questo sarebbe stato, appunto, presieduto dallo stesso Berlusconi”.
Sempre in riferimento a questo momento storico/politico è stata posta un’ulteriore dirimente precisazione legata al fatto che gli elementi probatori che si riferiscono alle iniziative degli esponenti mafiosi di vertice per creare collegamenti con la neo formazione politica Forza Italia non assumono, a ben vedere, rilievo diretto per l’integrazione del reato pluriaggravato di cui all’art. 338 c.p. trattandosi di fatti antecedenti al maggio 1994, data di insediamento del governo di che trattasi: “... non è questa, dunque, la fase in cui va ricercata la minaccia che può integrare la fattispecie criminosa oggetto della contestazione formulata in questo processo a carico del medesimo Dell'Utri”.
Emerge un netto discrimine tra quello che rispetto all'imputazione può essere definito come un antefatto non punibile, un mero antecedente causale alla successiva condotta, perché avvenuto prima dell’insediamento del governo Berlusconi, e ciò che si è verificato dopo l’insediamento di detto governo e solo quando, a quel punto,
L’intimidazione mafiosa, se portata a compimento, poteva valere ad integrare il reato oggetto di contestazione secondo le coordinate recepite dalla stessa sentenza di primo grado. Seguendo questo criterio logico/temporale sono stati posti in luce gli incontri di Vittorio Mangano con Dell'Utri sia prima sia dopo l’insediamento del governo di che trattasi individuando, per quest’ultima fase, due occasioni: la prima tra giugno e luglio 1994 e la seconda nel dicembre 1994: due occasioni che il Mangano ha avuto “... per sollecitare l‘adempimento degli impegni presi durante la campagna elettorale, ricevendo, in entrambe le occasioni, ampie e concrete rassicurazioni”.
In relazione ai fatti collocabili in questo arco temporale e ritenuti idonei ad integrare il reato contestato a Dell'Utri in concorso con i coimputati Brusca e Bagarella (oltre che in concorso con altri soggetti ormai deceduti quali Mangano e Cucuzza), il problema esegetico fondamentale è quello di verificare se le iniziative intimidatorie provenienti da contesto mafioso siano davvero “pervenute a destinazione” ossia se abbiano raggiunto quella che, secondo l'impostazione accusatoria ricevuta con la sentenza impugnata, viene individuata come la parte offesa di questa condotta: Berlusconi Silvio in qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri del governo insediatosi nel maggio del 1994
Questo aspetto della vicenda, “l’ultimo miglio” potrebbe dirsi parafrasando la terminologia in uso nelle telecomunicazioni, è quello che, ad avviso di questa Corte, rimane controverso tanto che non può ritenersi provato in termini di piena certezza.
Ma prima degli approfondimenti sul terna, dirimenti per stabilire se il delitto sia stato portato a consumazione prospettandosi, diversamente, un delitto tentato ai sensi degli artt. 56 e 338 c.p. per chi ha posto in essere quella condotta (ossia Bagarella e Brusca, per come si vedrà), è necessario ripercorrere il percorso seguito con la decisione impugnata quanto alle tappe antecedenti, parimenti d’interesse nella ricostruzione processuale.
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