Tra le favole di Esopo, Robert Michels cercò la metafora che meglio rappresentasse il movimento democratico: un vecchio contadino, in punto di morte, dice ai figli che nel campo c’è un tesoro sepolto. Dopo la sua morte, i figli scavano senza sosta ma non trovano il tesoro. Senonché, il loro instancabile lavoro migliora la terra e assicura loro prosperità.

La democrazia è il tesoro che nessuno mai riuscirà a scoprire con una ricerca deliberata perché non è un oggetto. Lavorando instancabilmente per scoprire l’inesplorabile e il possibile, i cittadini contribuiscono a rendere la società fertile alla democrazia.

È lo sforzo per raggiungere gli obiettivi politici a dare frutti democratici. Uno sforzo a controllare il potere di chi governa, a rinnovare la classe politica, a tenere aperta la possibilità di rispondere al meglio ai problemi concreti che la comunità sente e per i quali si impegna. Il dinamismo che si genera nel passaggio da una classe politica all’altra dà il senso del cambiamento, che può essere in meglio o in peggio.

La dinamica democratica non si trova quindi nelle istituzioni e nei principi, anche se questi sono i suoi binari di percorrenza. Le elezioni stesse non sono sufficienti a determinare il tenore di una democrazia: basti pensare a regimi autocratici con sistemi elettorali funzionanti o a società con elezioni libere che hanno diritti di voto e di opinione fortemente limitati. Le elezioni non sono da sole una garanzia di democrazia, anche se devono esserci ed essere rispettate negli esiti perché si dia democrazia.

Fermarsi alle elezioni significa avere una visione statica che non fa individuare le sorgenti del dinamismo (o, al contrario, del suo blocco). Dopo tutto, i governi possono cambiare e le politiche rimanere le stesse. Margaret Thatcher disse che il suo più grande successo fu Tony Blair: sebbene il “New Labour” fosse salito al potere, le sue politiche economiche neoliberiste rimasero intatte. Insomma, lo stesso sistema istituzionale e procedurale può materializzarsi in un governo democratico più o meno dinamico.

Nelle società contemporanee, tra i fattori indicativi della differenza di “tempra” – statica o dinamica – vi è quello dell’inclusione di quelle persone che non appartengono al gruppo etnico di maggioranza e che aspirano alla cittadinanza. Parliamo degli immigrati.

La candidata alla Casa Bianca Kamala Harris (nata negli Stati Uniti da entrambi i genitori immigrati e non bianchi) è indicativa di una società che è dinamica perché capace di estendere le possibilità di sfruttare al meglio le differenze che la abitano. Al contrario, una società le cui élite etnico-sociali si assicurano uno spazio di potere largamente incontestato è tendenzialmente più statica e, anche, meno giusta. Se il terreno della partecipazione viene dissodato e tenuto fertile da una pluralità di mondi e di culture, la società tutta saprà essere più dinamica e inclusiva.

Due esempi. Nel discorso tenuto nel luglio del 2008 a Berlino, l’allora futuro presidente degli Stati Uniti, Barak Obama disse di parlare «come cittadino, un cittadino orgoglioso degli Stati Uniti e un concittadino del mondo». In questa campagna elettorale, l’ex presidente ricandidato, Donald Trump, ha paragonato gli immigrati economici ad agenti infettivi che contaminano la grandezza americana (come se questa fosse una “cosa” statica, situata nel passato) e ha proposto il superamento dello ius soli, l’adozione di politiche assimilazioniste e l’espulsione di immigrati che provengono da Paesi declassati a luoghi delinquenziali. Come quella di Trump è l’opinione dei nostri governanti.

Dal 1992, l’Italia ha un regime di ius sanguinis; ma oggi l’opinione pubblica risulta essere meno chiusa di quella dei politici sulle condizioni per concedere la cittadinanza. In questa direzione va la proposta dello ius scholae che consentirebbe l’accesso alla cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia o arrivati qui in tenera età, dopo aver completato un ciclo scolastico.

Si tratta di una richiesta di giustizia e di generale utilità (come ha messo in chiaro anche il presidente della banca centrale, Fabio Panetta) che inietterebbe dinamismo e avvantaggerebbe l’intera società nazionale (un segno che è emerso durante le Olimpiadi).

Ma il governo di destra sembra come un autista che guida con la testa rivolta a un (peraltro inesistente) passato di omogeneità etnica. Si rifiuta di guardare avanti. Possiamo essere immobilizzati da conducenti inadeguati?

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