Sondaggi e soldi sono indicatori politici importanti. L’ottimismo dei democratici statunitensi è giustificato dall’incredibile boom di donazioni da parte di cittadini privati e movimenti, un flusso di denaro che continua ininterrotto. Soldi come indicazione di impegno a fare la propria parte per il partito di Kamala Harris. Il dire – che i sondaggi registrano – conta, ma mai come l’essere disposti a sacrificare soldi.

Come giudicare i soldi in politica? Ha senso essere critici e guardinghi. E la direzione dei soldi è un indicatore importante. Prendiamo il caso degli elettori che individualmente esprimono la loro preferenza donando – qui il vettore segue una direzione, quella dal cittadino al partito. Il ritorno desiderato è la vittoria politica, un obiettivo collettivo e non associato direttamente ad un interesse specifico.

Prendiamo invece il caso di grandi affaristi o capitalisti: questi offrono soldi con l’intento di ottenere in cambio decisioni politiche a loro favorevoli. Nel primo caso il vettore segue una sola direzione: dal cittadino al partito. Nel secondo, i vettori sono due, uno che va verso il partito e uno che ritorna verso il donatore. La diversa direzione nei due casi dipende da chi offre i soldi. Ci dice che cosa i soldi esprimono. La valanga di donazioni individuali e spontanee al partito democratico ha una direzione che fa bene alla politica democratica, perché incoraggia la partecipazione e fa sentire chi dona parte del collettivo.

Lo stesso avveniva nei vecchi partiti italiani di massa, quando lanciavano le “campagne di sottoscrizione”, spesso collegate ad eventi politici nazionali, come le elezioni, il sostegno al quotidiano di partito, o questioni che il partito riteneva urgenti affrontare e che richiedano risorse. In questi casi, i soldi privati non sono necessariamente un fenomeno negativo. Indicatori di preferenza più affidabili dei sondaggi, ci dicono la volontà di milioni di cittadini di spingere la politica nazionale in una direzione o in un’altra. È il tipo di donazione che fa la differenza.

Anche i repubblicani statunitensi stanno raccogliendo miliardi di dollari, soprattutto da multinazionali. Questa forma di denaro deve preoccupare la democrazia. Poiché se l'amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, dona 45 milioni di dollari al mese a sostegno di Trump, ciò non rivela semplicemente un’opinione politica ma è un investimento dal quale la sua azienda potrà trarre vantaggio se l’amministrazione sarà a guida repubblicana. La legge statunitense non fa distinzione tra donazioni dei singoli e donazioni di grandi gruppi. Gli originari Pac (le organizzazione fondate allo scopo di raccogliere soldi per i candidati) operavano in relazione a candidato, un tema, un obiettivo politico.

Ma nel 2010, la Corte Suprema ha riconosciuto la legittimità dei “Super Pac”, organizzazioni che non possono donare direttamente ma possono raccogliere e spendere qualsiasi cifra per sostenere indirettamente un candidato. Questa forma di sostegno ha spalancato le porte agli oligarchi come Musk. Dunque, la forma della raccolta di soldi fa la differenza. I soldi non sono il problema – le democrazie sono costose. Ma non basta valutarne la quantità. Occorre capire a chi questa quantità sia riferita, a chi la muove: se molti ordinari cittadini o pochi e straordinariamente potenti cittadini. Questo vale anche per il nostro paese.

La discussione sul finanziamento pubblico o privato ha segnato la politica nazionale con decisioni (anche referendarie) alterne, a favore o contro. I casi di sospetta corruzione che hanno recentemente travolto il presidente della giunta regionale ligure è un segnale di quel che si dovrebbe evitare, ovvero che, come detto sopra, la direzione dei soldi abbia due vettori, non uno solo. Togliere il finanziamento pubblico non ha reso la politica meno corrotta. Ma d’altro canto, i finanziamenti che vengono dai singoli sono importanti. E anche qui, il modo in cui la raccolta avviene è importante.

In Italia, la decisione del governo a guida Enrico Letta (che dichiarò nel dicembre 2013 con mal riposta soddisfazione: «Abbiamo abolito il finanziamento ai partiti») di demandare a ciascun cittadino la decisione di destinare nella denuncia dei redditi una percentuale ad un partito, non è delle più felici.

Non perché si rivolge ai singoli pur restando in una cornice pubblica (le tasse) ma per il modo seguito, che è troppo individualistico. Sarebbe desiderabile che i partiti tornassero a fare campagne di finanziamento, che fossero loro a chiedere e a mobilitare i cittadini privati, cosicché questi sentano, mentre offrono soldi, la soddisfazione di partecipare ad un progetto collettivo - cosa che molto probabilmente non avviene se la legge associa la donazione al sacrificio fiscale.

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