I fatti di «Sde Teiman sono solo la punta dell’iceberg», scrive la ong israeliana B’Tselem in un report che documenta gli abusi sistematici nelle carceri sui detenuti palestinesi
Cinque riservisti israeliani sono sotto processo accusati di aver abusato sessualmente di un detenuto palestinese presso il carcere di Sde Teiman, in un raro caso giudiziario che vede militari del Paese ebraico alla sbarra per reati di questo tipo, malgrado le ripetute denunce di organizzazioni per i diritti umani, dei media e di ex detenuti palestinesi.
Le violenze subite dal detenuto sono emerse dopo che tre settimane fa l’uomo è stato trasferito in fin di vita in un ospedale civile, con costole rotte, ferite al petto e all’addome chiaramente frutto di aggressione e una grave lesione al retto dovuta all’inserimento di oggetti, secondo le testimonianze di medici che hanno assistito il paziente e riportate da vari media internazionali ed israeliani.
Yoel Donchin, medico che ha visitato il paziente palestinese, ha detto al quotidiano israeliano Haaretz di essere rimasto scioccato dalle condizioni in cui è arrivato in ospedale, aggiungendo di non poter credere «che una guardia penitenziaria israeliana potesse fare una cosa del genere».
L’esercito israeliano (Idf) ha dichiarato che «è proibito fare del male ai detenuti senza motivo, a prescindere da quanto gravi possano essere i loro crimini», aggiungendo di avere prove che suffragano «il ragionevole sospetto che le violenze al detenuto siano state perpetrate dagli accusati».
Denunce di trattamenti degradanti e violenti erano emerse anche prima del 7 ottobre. Tuttavia, la guerra a Gaza ha notevolmente peggiorato la situazione, tanto da far concludere che l’episodio di Sde Teiman sia parte di una pratica istituzionalizzata – avallata dall’attuale governo – di abuso continuo e tortura dei detenuti palestinesi, secondo l’ong israeliana B’Tselem. «Sde Teiman è solo la punta dell’iceberg», ha detto l’ong accompagnando la pubblicazione questa settimana di un report sulla condizione dei palestinesi nelle prigioni israeliane.
All’inizio di luglio, dice B’Tselem, i detenuti palestinesi erano 9.623, il doppio rispetto a prima dell’inizio della guerra. Di questi, 4.781 erano in prigione sotto regime di “custodia amministrativa”, senza che fossero state presentate loro precise accuse e senza poter accedere ad assistenza legale. Basato sulle testimonianze di 55 detenuti, rilasciati nella maggior parte dei casi senza subire alcun processo, il report dettaglia ripetute violazioni dei diritti dei palestinesi nelle carceri israeliane.
La sistematicità di tali pratiche, secondo B’Tselem, deriverebbe dalla dichiarazione dello stato di emergenza nelle prigioni proclamato il 18 ottobre dal ministro della Sicurezza nazionale ed esponente dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir.
Si tratterebbe di atti di tortura fisica e psicologica, della negazione di accedere a cure mediche, che in alcuni casi avrebbe provocato la morte di detenuti, della confisca di tutti gli effetti personali, della privazione di cibo e acqua, del mancato accesso ad assistenza legale e di condizioni igieniche disumane.
Condizioni disumane
Firas Hassan, cinquantenne di Hindaza, nella zona di Betlemme, ha raccontato a B’Tselem di essere stato arrestato nell’agosto del 2022. Inizialmente doveva rimanere sei mesi in detenzione amministrativa, ma poi questa è stata estesa due volte, malgrado avesse presentato appello presso un tribunale israeliano.
«La vita in prigione trascorreva come al solito fino al 7 ottobre. Da lì in poi è stato come vivere in uno tsunami», ha detto Hassan, che al tempo si trovava nella prigione di Ketziot, nel deserto del Negev.
Hanno iniziato a contarli in cella più volte al giorno, hanno ridotto la fornitura d’acqua corrente a solo un’ora al giorno e hanno iniziato a dargli solo una bottiglia d’acqua per 7 persone al giorno. Di notte, le guardie non li lasciavano dormire, mettendo musica ad alto volume, bussando forte alle porte delle celle e gridando loro insulti, come «Cani, figli di puttana».
Poi sono arrivati i pestaggi. Frequenti. Un giorno lo hanno preso e buttato in una cella con altre 20 persone.
«Ci hanno picchiati con calci, pugni e manganelli. Alcuni sanguinavano. Ci hanno lasciati lì per 7 ore. Tutti piangevano o si lamentavano», ha continuato Hassan. Come Hassan, alcuni hanno raccontato di essere stati minacciati e picchiati prima che ci fosse l’udienza riguardante la loro detenzione, affinché non raccontassero le violenze subite in prigione. Altri hanno riferito di aver visto morire compagni per mancanze dei medicinali necessari per le cure di malattie croniche contratte prima dell’arresto. La scarsa igiene ha dato luogo a varie patologie, curate solo con antidolorifici.
L’Idf ha dichiarato ai media che in alcuni casi il personale delle prigioni è stato licenziato una volta appurato che il comportamento aveva violato regole del carcere.
In maggio, il capo dell’ufficio legale militare ha fatto sapere che l’Idf stava conducendo indagini su 70 casi relativi alla condotta del personale militare sospettati di aver commesso dei reati dall’inizio della guerra, incluso casi di detenuti morti nel carcere di Sde Teiman.
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