Il cosiddetto decreto Flussi presenta una serie di criticità in punto di diritto. Dal trattenimento dei richiedenti asilo all’accesso ai dispositivi elettronici dei migranti
Non c’è provvedimento normativo del governo che non presenti serie criticità in punto di diritto. È la volta del cosiddetto decreto Flussi, del quale può essere utile rilevare almeno alcuni dei profili più problematici, quali emergono dalle indicazioni del Governo.
Il respingimento dei richiedenti asilo
Il decreto introduce una nuova ipotesi di respingimento, deciso dal questore, degli stranieri rintracciati a seguito di operazioni di ricerca e soccorso mare da parte delle autorità preposte. È previsto che i migranti, trovati in acque internazionali, siano condotti in “zone di frontiera”, che tecnicamente non sono territorio nazionale, così da evitare l’obbligo di accoglienza ai sensi del regolamento di Dublino. Peccato il governo non consideri che anche navi e aeromobili delle autorità italiane sono suolo italiano, ai sensi del codice della navigazione.
I respingimenti non si applicano ai richiedenti protezione internazionale. Ma i tempi ristretti dell’espulsione – 48 ore per la convalida del giudice - rischiano di far sì che uno straniero appena soccorso in mare non sia in condizione di presentare tempestivamente la richiesta. Il divieto di respingimento sarebbe così vanificato.
Per coloro i quali presentino domanda di asilo è previsto il trattenimento se non consegnano il passaporto o altro documento equipollente oppure non prestino idonea garanzia finanziaria. Ma, ai sensi della normativa europea (direttiva 2013/33), e come attestato dai giudici, il trattenimento è una misura eccezionale: va motivato, e non può costituire una conseguenza “automatica” per il solo fatto che un richiedente protezione non abbia risorse per la cauzione. Invece, è proprio ciò che fa il decreto in esame.
I cellulari
In caso di mancata cooperazione dello straniero con le autorità ai fini dell'accertamento della propria identità e di altro, il questore può disporre l’accesso ai suoi dispositivi elettronici, senza che sia presa visione di corrispondenza e comunicazioni.
La norma suscita perplessità sul piano privacy. Escludendo chat, mail e similari, l’accesso potrà riguardare ad esempio la cronologia del navigatore, le reti Wi-Fi cui il cellulare si è connesso, le foto scattate o archiviate, le app installate. Ma le informazioni così ottenute rischiano di non essere utili per l’identificazione del migrante: nel corso del viaggio, lo stesso device potrebbe essere stato usato da più individui oppure perso e trovato da qualcuno, e ciò inquinerebbe le “tracce” digitali.
La raccolta di dati prevista dalla legge, non conseguendo gli scopi cui è finalizzata, violerebbe il Regolamento Ue sulla privacy (GDPR). Inoltre, ogni dato personale dev’essere valutato correttamente, anche alla luce delle circostanze in cui è stato originato. Ma se non c’è nemmeno la certezza che il possessore del dispositivo sia colui cui dati personali appartengono, molto elevato è il rischio di equivoci, quindi di eventuali conseguenze pregiudizievoli anche sul piano legale per la persona sbagliata.
Ancora, ai sensi del GDPR, i migranti dovrebbero essere messi in grado non solo di ottenere, ma anche di capire compiutamente ogni aspetto relativo alla raccolta e gestione dei propri dati. Cosa non agevole per stranieri soccorsi in mare, che non conoscono la nostra lingua né la portata di normative qual è quella europea sulla privacy.
I soccorsi e la Libia
Il nuovo testo prevede che le navi umanitarie «non pongano a repentaglio l’incolumità dei migranti» non più solo a bordo, come previsto finora. Potrebbe essere sanzionata una ONG per il solo fatto che si avvicini a un’imbarcazione in difficoltà. Si vuole, da un lato, evitare che i giudici sospendano, come nei mesi scorsi, provvedimenti di fermo amministrativo delle navi delle ONG, motivati dal fatto che queste ultime non hanno rispettato gli ordini della cosiddetta guardia costiera libica, mettendo in pericolo i migranti soccorsi con il loro trasbordo; dall’altro lato, lasciare ai libici la gestione degli individui in mare.
Un’altra norma dispone che i piloti degli aerei delle ONG, i quali avvistino imbarcazioni in difficoltà, avvertano l’ente dei servizi di traffico aereo e il centro di coordinamento dei soccorsi, attenendosi alle loro istruzioni. Già oggi gli aerei, tramite il team di terra delle ONG, forniscono a tali soggetti le informazioni necessarie, convogliate però prima alle navi ONG, che possono così intervenire. L’intento della norma, pure in questo caso, sembra quello di lasciare la gestione delle persone in mare ad altri Paesi, specie alla Libia. Ma favorire l’intercettazione dei migranti da parte di uno Stato non sicuro concreta un respingimento, più che un soccorso. Peccato che il governo italiano paia non rendersene conto.
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