Se per l’Europa è arrivato il momento di badare a sé stessa, la soluzione non è spendere di più, ma sedersi a un tavolo e decidere complessivamente cosa ci serve, dove e per fare cosa. Avevamo tre strade davanti. Abbiamo scelto la peggiore
La seconda presidenza Trump segnerà la fine del rapporto tra Usa ed Europa come l’abbiamo conosciuto finora? Analisti, studiosi, politici si dividono tra chi minimizza e chi no, come autorevoli militari i quali dubitano si possa ancora parlare di un’alleanza atlantica (il generale Vincenzo Camporini sul Messaggero del 22 febbraio 2025). Sta di fatto che la duplice minaccia percepita, sia da est che da ovest, ha gettato l’Europa nel panico, tanto i vertici istituzionali quanto i più influenti capi di stato e di governo. È scattata una sorta di corsa al riarmo senza capo né coda.
Innanzitutto, vanno ribaditi alcuni fatti, in parte noti, ma che continuano a sfuggire. Come notato da Emanuele Felice su Domani, ma anche da Carlo Cottarelli su Repubblica, quando si tratta di difesa, il problema non è quanto si spende, ma come si spende.
A proposito del “quanto”, secondo l’istituto Sipri di Stoccolma nel 2023 (in piena guerra) la Russia ha speso 109 miliardi di dollari; i 27 paesi della Ue 312 miliardi, che diventano 396 se si aggiungono Norvegia e Regno Unito, che fanno parte della Nato. Di contro, la spesa americana è stata di 916 miliardi. Anche tenendo conto del minore potere d’acquisto del dollaro in Europa che in Russia (ma certamente non di un terzo), sembra evidente che i paesi europei spendono quanto e più della Russia.
Anche la spesa pro capite dei paesi dell’Europa occidentale (comprese Norvegia e Uk), in media, è maggiore che in Russia. Fatta uguale a 100 la nostra media, la Russia si è avvicinata solo dopo l’invasione dell’Ucraina (dal 79 per cento nel 2019 al 96 per cento nel 2023).
Sono i paesi dell’Europa orientale (Polonia, Slovacchia, Romania, ecc.) ad avere una spesa pro capite sensibilmente inferiore a quella russa, pur essendo passati, nel complesso, dal 67,5 per cento della Russia nel 2019 al 70,4 per cento nel 2023. Gli Stati Uniti sono la vera anomalia, avendo speso da soli oltre 1,5 volte quanto speso per ogni cittadino europeo, cinese e russo messi insieme. Non è chiaro se i cittadini americani siano pienamente coscienti (e contenti) di questa situazione. Forse non lo sono più e Trump ha deciso di risparmiare sull’Europa.
Ora, ammettiamo che sia giunto il momento in cui l’Europa è cresciuta abbastanza da dover badare alla propria difesa sempre più da sé stessa. Non pare che il problema sia che ciascuno e tutti spendiamo di più. Il problema è eliminare la frammentazione nazionale degli acquisti, le duplicazioni, la cacofonia strategica, sicché – come ci dicono autorevoli esperti militari – i nostri sistemi di difesa risultano pletorici e allo stesso tempo inadeguati sia per ogni singolo paese che per l’Europa nel suo complesso, condannandoci alla dipendenza strategica dagli Usa.
Le strade possibili
C’erano tre possibili strade da percorrere. È stata scelta la peggiore. La prima strada, e per noi maestra, era la creazione di un Next Generation Eu per la difesa, eventualmente ricorrendo alla cooperazione rafforzata prevista dal Trattato di Lisbona. Creare un fondo comune (l’ingegneria finanziaria si trova se c’è la volontà politica) e, scusate se semplifichiamo un po’, riunire Commissione, ministri e generali, decidere qual è l’obiettivo strategico (la difesa dalla Russia, dalla Cina, sulla terra o dallo spazio…?), aprire la cartina dell’Europa sul tavolo e decidere cosa serve e dove serve.
La spesa andrebbe concentrata soprattutto su produzioni nate da collaborazioni europee, perché se gran parte della spesa si risolvesse in importazioni dagli Usa il suo contributo al progresso tecnico in Europa e il suo moltiplicatore sarebbero bassi e, quindi, accumuleremmo nuovo debito “cattivo” (facendo però contento Trump). Strada chiusa perché in giro non c’è più l’ombra di statisti europeisti e, già da anni, i sovranisti dettano l’agenda politica a tutti gli altri partiti in tutti i campi.
La seconda strada era ognuno per sé, ma almeno rispettando le regole di bilancio del Patto di stabilità e crescita (Psc). Questa soluzione non corregge le attuali inefficienze e debolezze della difesa europea, ma la sua ratio sta nel fatto che la spesa militare rientra, in larga misura, nella tipologia che in contabilità nazionale si chiama “consumi pubblici”, ed è probabile che crei debito “cattivo”. Visto che non si è voluto scorporare dal Psc altri (veri) investimenti pubblici non si capisce perché lo si debba fare per la spesa militare.
La scelta peggiore
La terza strada, quella intrapresa, è ognuno per sé ma attivando la clausola di esenzione delle spese militari dai meccanismi del Psc, cioè creando debito nazionale anziché comune. È la strada peggiore, tanto che si adotti una sospensione generale del Patto (come accadde con il Covid, ma è ridicolo dire che la difesa è una calamità naturale come se fossimo già in guerra) quanto che siano i singoli stati a doverla richiedere secondo le proprie esigenze.
Forse spaventa persino i frugali la prospettiva di dove scegliere tra pane e cannoni. Né sembra ragionevole attivare il Mes per le spese militari. Il Mes è uno strumento destinato a tutt’altro e, fino a oggi, inutilizzabile per la mancata approvazione italiana della sua riforma. Non avremo una difesa integrata, non saremo più sicuri, spenderemo di più, avremo più debito “cattivo”, e, se fra un po’ di anni esisteranno ancora l’Europa e il suo Psc, la scelta tra pane e cannoni verrà imposta solo a chi ha i debiti più alti.
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