«Manteniamo la lucidità: non facciamoci prendere da propaganda e isterie collettive. Lo spirito di resistenza implica la resistenza dello spirito». Uno dei massimi intellettuali di Francia, il sociologo Edgar Morin, con 103 anni e la resistenza nella biografia, ha voluto mandare un messaggio agli elettori che questa domenica fino alle 20 possono votare i loro deputati preferiti in 577 circoscrizioni, dando ai più quotati la chance di correre al secondo turno la domenica seguente.

Il messaggio è che sia al caos che all’avanzata delle estreme destre si può resistere. Ed è un messaggio in controtendenza: convinto di raggiungere quantomeno la maggioranza relativa, il Rassemblement National sta alzando la posta. Jordan Bardella, il delfino di Marine Le Pen, che ha 28 anni ed esperienze di governo nessuna, va dicendo che le sue ambizioni di guidare un governo valgono solo nel caso che ottenga la maggioranza assoluta.

Un paese a rischio caos

I politologi fanno già i conti con scenari di ingovernabilità. Il nuovo Front populaire si configura come il campo alternativo a sinistra, ma sorpassato dai lepeniani, mentre tra i due poli restano i centristi macroniani che una volta facevano da grande aggregatore e ora rischiano di finire schiacciati. Se l’intenzione di Emmanuel Macron – che ha precipitato il paese nell’incertezza sciogliendo il parlamento dopo le europee – era davvero quella di logorare i competitor, l’esito più probabile è invece l’indebolimento del paese in generale.

Una «terra incognita politica e istituzionale»: così l’ha chiamata il politologo Vincent Martigny. Insomma questa domenica c’è il primo turno, ma potrebbe essere il primo non di due bensì di tre, perché non è da escludere che dopo un anno – cioè quando l’articolo 12 della Costituzione francese lo consente – il presidente debba di nuovo sciogliere il parlamento e indire un nuovo voto.

I piani di Le Pen

In ogni caso per Marine Le Pen l’incetta di voti rappresenta un trampolino per le presidenziali, e intende sfruttarlo.

Dopo le legislative dell’estate 2022, ha già all’attivo due vicepresidenti d’aula, quasi novanta deputati e un esercizio costante di normalizzazione: negli ultimi due anni, cioè da quando ha penetrato le istituzioni, la leader di estrema destra adotta quella che a Parigi chiamano «la politica della cravatta»; vuol cioè apparire presentabile e responsabile.

Non a caso Bardella dice di volere un «governo di unità nazionale», anche se come ha spiegato l’esperto di destre estreme Jean-Yves Camus a Domani «non lo sarebbe affatto, e il Rassemblement resta un partito xenofobo e filorusso»; lo si vede bene da alcuni punti programmatici, come l’esclusione dei binazionali da alcuni posti strategici dell’amministrazione.

ll vicedirettore del Nouvel Obs, Sylvain Courage, parla di quella lepeniana come di una “anti Repubblica”, dove il motto Liberté, Égalité, Fraternité viene minato nel profondo: «La libertà sarà intaccata dall’ossessione securitaria, l’uguaglianza dalla “preferenza nazionale” e la fratellanza da una xenofobia di stato».

Una scommessa costosa

Tra gli spauracchi legati all’affermazione di RN c’è anche il tema della copertura finanziaria del programma economico del partito, tantopiù che dopo i risultati delle europee i mercati hanno reagito, la scorsa settimana Bruxelles ha annunciato una procedura per deficit eccessivo e in tutto questo Bardella dice di volere indietro dall’Ue il “rebate”: in sostanza vuol mettere meno soldi nel bilancio comune.

Ma va detto che – in traiettoria con il loro processo di “melonizzazione” – i lepeniani, che mirano a governare, cercano puntelli nel mondo della finanza. Si fanno consigliare da François Durvye, che dirige il fondo di investimento Otium Capital ed è il braccio destro di Pierre-Edouard Sterin, miliardario cattolico che si definisce «libertario conservatore».

Quest’ultimo è a sua volta in rapporti con Vincent Bolloré, che oltre a essersi mangiato un’ampia fetta del panorama mediatico francese lo sta dirottando verso l’estrema destra. Insomma RN, che ha cooptato pure il fedifrago dei Repubblicani Éric Ciotti e Marion Maréchal, fa una corsa elettorale a doppia pista: da una parte catalizza l’insoddisfazione popolare, dall’altra si appaia a sponsor miliardari.

Il Fronte alternativo

Il principale fronte in grado di competere con l’estrema destra è quello popolare radunato sùbito dopo l’annuncio di elezioni da socialisti, France insoumise, ecologisti, comunisti, un’ampia galassia che già alle legislative precedenti si era aggregata nell’unione ecologista di sinistra Nupes, ricevendone indubbi vantaggi elettorali ma non riuscendo poi a resistere alla prova della compattezza in aula.

Stavolta i rischi sono elevati a potenza: mentre Macron demonizza il fronte come e più che nel 2022, intanto Jean-Luc Mélenchon presta il fianco ai nemici esterni e interni dell’unione delle sinistre. Nella delicata fase di composizione delle liste, ha fatto piazza pulita di chi nel suo partito era più critico nei suoi riguardi, col risultato che pure tra i suoi ci si è indignati per le «purghe».

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