Il ministro Darmanin si è «augurato personalmente» che il processo in appello si tenga nei tempi «più ragionevoli». Poche ore dopo, la corte d’appello di Parigi ha confermato tempi solerti. Nel frattempo la leader va in tandem con il suo delfino e si “trumpizza” contro i giudici
Questo weekend, mentre Matteo Salvini sarà a Firenze, impegnato a farsi riconfermare segretario, la regista dell’operazione dei Patrioti per l’Europa porterà a Parigi gli alleati europei.
Marine Le Pen è determinata a trasformare la propria ineleggibilità alle presidenziali in un «motore in più», e allora ecco che arriva una data – questa domenica alle 15 – assieme al luogo – place Vauban – per la «mobilitazione popolare e pacifica» che già nel giorno del giudizio (il 31 marzo) il delfino Jordan Bardella aveva di fatto convocato.
«Chers amis, cari amici, devo dirvi la verità: siamo sotto choc». Così comincia la lettera che Bardella – non Le Pen – ha spedito questo martedì ai sostenitori del Rassemblement National. Il che ci dice già quale sia la strategia scelta dall’estrema destra francese in questa fase di incertezza: il tandem.
L’uomo ombra
«Domenica tutti mobilitati per Le Pen nel raduno al fianco di Bardella», dice non a caso il materiale del partito; la foto dei due ribadisce la strategia "di coppia”. La leader dell’RN non rinuncia alle presidenziali e lotterà «jusqu’au bout» per essere lei la candidata. Pare peraltro che dalle parti del governo non disdegnino di darle una mano, come dimostrano questo martedì le uscite di François Bayrou (premier in bilico) e di Gérald Darmanin (ministro della Giustizia) davanti al Parlamento, a cui ha fatto seguito nel giro di poche ore la notizia dalla corte d’appello: la decisione di secondo grado «arriverà per l’estate 2026».
Bardella è sempre al fianco di Le Pen, per ogni evenienza: prima ancora che la leader parlasse in tv lunedì sera, è stato il primo a reagire pubblicamente al verdetto dettando la linea (democrazia sotto scacco). È lui a essere stato già testato – a neppure trent’anni – come presidente del partito, capolista alle europee e nome di punta come premier alle scorse legislative. Dicono i parlamentari del RN a chi chiede loro della successione che «non si discute dell’eredità a cadavere caldo», ma nessuno – neppure chi, come Sébastien Chenu, ha già avuto ruoli istituzionali (vicepresidenza d’aula), e neanche Marion Maréchal, nipote ex bastian contraria riaccolta come un figliol prodigo – pare poter contendere a Bardella il ruolo di ereditiere, perlomeno se l’opzione resta da individuarsi dentro il partito.
La maggior parte degli osservatori riferisce che in realtà nell’RN non ci si aspettasse l’ineleggibilità con decorso immediato, il che dà un doppio senso a quel «siamo sotto choc» a cui Bardella fa seguire «lo choc di una decisione brutale, ingiusta e antidemocratica». Ma Le Pen non viene colta alla sprovvista per quel che riguarda la scelta di un erede: quando ancora non era in discussione che fosse lei a correre per l’Eliseo nel 2027, la leader diceva esplicitamente che sarebbe stata la sua ultima campagna: a seguire, «Jordan» avrebbe avuto 36 anni.
Tanto è chiara la linea ereditaria (Bardella «piano B naturale» si dice) che sul fronte opposto Marine Tondelier, la segretaria ecologista, fa già opposizione all’erede: «Bardella non è stato giudicato in questo processo ma non sfuggirà alla giustizia per il suo incarico fantasma al Parlamento Ue».
Trumpiani a Parigi
La strategia è doppia, su tutti i fronti: Le Pen dice di non rassegnarsi all’ineleggibilità ma si muove in tandem con Bardella; i due attaccano i giudici in pieno copione trumpiano ma al contempo sperano in quello stesso «sistema» da loro contestato per disinnescare l’ineleggibilità. Radicalizzazione (o trumpizzazione) davanti agli elettori (chiamati alla piazza e alle petizioni) ma al contempo leve politiche dentro quel campo macroniano che ha contribuito a normalizzare e rendere “frequentabile” (frequentata) l’estrema destra.
«Il sistema ha tirato fuori la bomba nucleare perché siamo sul punto di vincere»: questo dichiara Le Pen. Le fa il paio Trump: «Le impediscono pure di candidarsi ed è la principale candidata. Sembra quel che è successo qui in Usa». Dal Cremlino alla Casa Bianca, da Salvini a Meloni (che dice: «nessuno che creda nella democrazia può gioire di simile sentenza»), va in scena il solito schema dei «giudici politicizzati». Pure gli effetti sono un déjà vu: sotto protezione è finito il pool della procura di Palermo che si è occupato del caso Open Arms-Salvini e sotto scorta finisce la presidente del tribunale di Parigi additata da Le Pen di «parzialità».
Mentre i lepeniani parlano di politicizzazione dei giudici, in realtà il guardasigilli Darmanin fa da sponda a Le Pen (stando a quanto disse Xavier Bertrand all’epoca della formazione del governo, è anche per i rapporti con Le Pen che Bayrou gli ha preferito Darmanin alla Giustizia): questo martedì in aula il ministro si è «augurato personalmente» che il processo in appello si tenga nei tempi «più ragionevoli». Poche ore dopo, la corte d’appello di Parigi ha confermato di aver ricevuto i ricorsi garantendo di «evitare ritardi» e ventilando «una decisione per l’estate 2026»; rapida date le previsioni (almeno 15 e in media 18 mesi).
Nel frattempo il premier Bayrou esprime «interrogativi» sull’applicazione immediata dell’ineleggibilità e chiede «una riflessione» tra i parlamentari, mentre Éric Ciotti (ormai lepeniano) annuncia una «proposta per sopprimere l’esecuzione immediata della pena di ineleggibilità».
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