Gli attacchi frontali a giornalisti e testate, i tentativi di delegittimazione, la costruzione della stampa come nemico proprio e della patria: lo schema meloniano è ricorrente.

Il fastidio per le domande

È il 3 febbraio del 2023 e a Berlino una conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz costituisce un’opportunità per i giornalisti di fare domande. Peccato che la premier scelga a quali rispondere.

«Delmastro ha divulgato documenti sensibili, rinnova la sua fiducia al sottosegretario?», chiede all’epoca Ilario Lombardo, finito in questi giorni nella «lista di proscrizione» del Giornale. Nonostante il caso Delmastro sia al centro del dibattito, Meloni rifiuta di rispondere. «Siccome non credo che la stampa internazionale sia interessata a questo dibattito, le rispondo domani».

La premier disattende il dovere di render conto dell’operato – il principio di accountability – ma prende oltre due minuti abbondanti per suggerire invece al cronista di cosa dovrebbe occuparsi. «Un tema che può interessare anche alla stampa estera e che mi pare molti stiano sottovalutando è che siamo oggetto di attacchi da parte degli anarchici».

Dopodiché richiama i giornalisti «alla responsabilità» perché a suo dire «non si focalizza quale sia davvero il problema». Il meccanismo del rally ‘round the flag effect – cioè la minaccia esterna come strumento per aggregare tutti sotto l’ombrello della nazione e silenziare le voci critiche – viene riadattato da Meloni usando lo schema in voga tuttora: presentare i giornalisti che incrinano la narrazione meloniana come nemici della patria.

«Qualcuno deve correggere i suoi titoli», dice Meloni un mese dopo Berlino: è marzo 2023 e in una tesa conferenza stampa a Cutro in cui i cronisti le chiedono conto del naufragio, è lei che prova a incalzare loro.

Gli attacchi concordati

Oltre alla conferenza con Scholz, è paradigmatica una dichiarazione congiunta tenuta con Edi Rama e improntata sin dall’esordio come attacco ai giornalisti.

È il 5 giugno del 2024 e in questa occasione emergono tutte le contraddizioni della propaganda di Meloni, che a parole si fonda sulla difesa degli interessi nazionali, ma nella pratica consente a un premier di un’altra nazione, l’Albania, di attaccare e delegittimare il lavoro giornalistico di quotidiani e servizio pubblico italiani; e anzi costruisce assieme a lui tutta l’operazione.

Quel giorno di giugno Rama comincia le dichiarazioni congiunte polemizzando direttamente contro Domani a seguito dell’inchiesta del giornale sui clan in Albania. «Non posso non cogliere questa opportunità per esprimere tristezza su tante mezze verità che sono dette nei media italiani, servizio pubblico incluso», dice Rama con Meloni sorridente sul podio al suo fianco, partecipe di tutto l’affondo del suo omologo contro i giornalisti e in particolare la tv pubblica Rai e Domani.

«Mezze verità» dette «sull’Albania con il chiarissimo intento di gettare fango su questo paese per attaccare l'accordo dei due governi sull’immigrazione clandestina. Devono vergognarsi», continua il premier albanese attaccando i giornalisti; «hanno abusato del quarto potere».

La delegittimazione

Rama attacca i media dopo che Meloni stessa ha costruito i presupposti per farlo, ad esempio il 28 aprile 2024 nel suo intervento alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, una sorta di manifesto in cui la premier annuncia tra le altre cose la sua presenza nelle liste per le elezioni europee.

In quel discorso Meloni scredita i giornalisti – anche quelli del servizio pubblico visto che Report ha svolto inchieste sull’Albania – presentandoli alla stregua di agenti malevoli della politica. «La sinistra non ha alcuna soluzione sulla migrazione, le rimane solo di tentare di smontare ogni soluzione che tentiamo di mettere in campo. Lo hanno fatto i loro parlamentari in Europa, lo fanno i loro giornalisti in Albania contro i centri che stiamo aprendo, lo fanno alcuni giudici militanti in Italia».

Oltre a delegittimare il lavoro giornalistico, la premier prosegue attaccando frontalmente il servizio pubblico e dicendo che «anziché ringraziare Rama lo hanno lapidato: addirittura, il servizio pubblico italiano, la famosa TeleMeloni, ha confezionato un servizio nel quale in pratica si dipingeva l'intera Albania come un narcostato. Voglio esprimere ancora una volta la mia solidarietà a Rama».

Poi parla di «accuse ingiuste rivolte solo per attaccare il governo italiano»: Meloni derubrica le inchieste giornalistiche a «accuse ingiuste» motivate da ragioni politiche.

Il paradigma vittimista

A maggio 2023 Meloni reagisce a un’inchiesta di Domani così: «Qual è l’obiettivo di questo presunto scoop? Mettere un po’ di fango nel ventilatore e accenderlo».

A marzo 2024 in un comizio per le regionali in Abruzzo attacca frontalmente «il giornale di De Benedetti» e dice: Vogliamo sapere chi sono i mandanti perché questo è un metodo da regime».

«Metodo da regime»: è la stessa espressione utilizzata dalla premier lo scorso mese, quando ha sciorinato le sue accuse contro Fanpage dopo l’inchiesta sulla gioventù meloniana.

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