Ursula von der Leyen prova a tirarla dentro i Popolari europei. Marine Le Pen tenta di ingaggiarla in un gruppone delle destre estreme. Il doppio corteggiamento non fa che rafforzare Giorgia Meloni e la “strategia del pendolo” da lei collaudata sin dal 2021.

Le attrici in campo

Durante l’ultimo confronto tra candidati alla presidenza di Commissione, von der Leyen non si è limitata a ritenere Meloni compatibile con una propria maggioranza, o a presentarla come «europeista» democratica; ha pure esternato la compatibilità di Fratelli d’Italia coi Popolari, facendo intendere che l’alleanza tattica già in corso dal 2021 possa arrivare a ulteriore maturazione.

Quanto a Le Pen, negli stessi giorni è tornata alla carica con il tormentone dell’unione tra gruppi conservatore (Ecr) e sovranista (Id), che proprio Meloni ha fatto saltare nel 2021 utilizzandone lo scalpo per negoziare col Ppe. «Uniamoci, l’occasione è imperdibile», torna a dire a Meloni la leader di un Rassemblement National che si aspetta un exploit alle europee.

Le mosse di von der Leyen e Le Pen, entrambe dettate dalle ambizioni politiche di ciascuna, possono essere inquadrate all'interno di una dinamica di competizione interna alle destre.

Le Pen ha come obiettivo all’incirca quello che era l’obiettivo di Meloni tre anni fa, quando la leader di FdI – prima del trionfo elettorale – ha voluto accreditarsi come forza atta a governare e a interloquire con la principale famiglia politica europea, quella popolare. Anche così si spiega la cacciata di AfD da Id, del quale il Rassemblement fa parte.

Per von der Leyen l’obiettivo è invece continuare a governare l’Ue, ottenendo un secondo mandato; e per farlo è già scesa a patti con il plenipotenziario del Ppe, Manfred Weber, che ha preso a strattoni la sua presidenza finché lei non ha digerito l’alleanza tattica con Meloni.

Per ragioni e in termini diversi, sia Le Pen che von der Leyen vedono nel dialogo con Meloni una condizione utile per la propria affermazione. Ma c’è anche altro: il doppio corteggiamento è legato alla gara tra forze di destra su chi guiderà il processo di integrazione degli estremi.

La strategia di Meloni

Il segreto di Meloni è semplicemente quello di non optare ora né per il Ppe né per il gruppone, né per von der Leyen né per Le Pen, bensì per Meloni.

Nel 2021 la leader aveva barattato l’unione tra destre estreme con un canale privilegiato col Ppe, ma dopo aver ottenuto per Ecr una vicepresidenza dell’Europarlamento, non ha mai ceduto alle sirene dei Popolari per confluire nel loro gruppo: non voleva finire dissolta nel Ppe, tantopiù con l’equilibrio numerico svantaggioso delle europee 2019.

Tutto ciò non implica che Meloni si stia precipitando a fare l’unione delle destre estreme, anche se le sue dichiarazioni su una maggioranza che scalzi i socialisti potrebbero far intenderlo. Se si analizza il precedente del 2021, compreso il bluff dell’unione poi sabotata, si può semmai ipotizzare che la leader sfrutterà col Ppe l’arma di ricatto di questa unione (come ha già fatto) per strappare ulteriori condizioni favorevoli; e stavolta potrebbe strapparle anche per Le Pen, in un gioco tattico ben orchestrato.

Come la premier stessa ha esternato quando si è attribuita il presunto merito di “domare” Orbán in Consiglio, la sua forza è «parlare con tutti». Perciò a Meloni non conviene scegliere da che parte stare, ma risultare decisiva per entrambe le parti, guidando lei il processo di progressiva normalizzazione delle destre estreme in Ue.

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