Dopo il Consiglio dei ministri, il presidente francese Emmanuel Macron, come previsto, ha accettato le dimissioni di Gabriel Attal. Il premier le aveva già presentate lo scorso 8 luglio, all’indomani del secondo turno delle elezioni legislative, ma erano state respinte. In realtà, rispetto a nove giorni fa, poco è cambiato. I numeri delle forze politiche non rendono semplice la composizione di una maggioranza. E le coalizioni stanno proponendo (e bruciando), con tensioni crescenti, i nomi del, possibile, prossimo presidente del Consiglio.

Le dimissioni di Attal

Attal, che ha ringraziato Macron per la fiducia, ha definito con «tre parole» il lavoro della sua amministrazione: «Riconoscimento, passione e dovere». Nonostante le dimissioni siano ufficiali, la squadra di governo rimarrà comunque in carica per alcune settimane per la gestione degli affari pubblici, soprattutto in vista del delicato periodo delle Olimpiadi (che iniziano il 26 luglio).

In un comunicato stampa, l’Eliseo ha precisato che «spetta alle forze repubblicane lavorare insieme per costruire un’unità intorno a progetti e azioni al servizio del popolo francese», in modo che questo periodo «si concluda il più rapidamente possibile».

Il Fronte popolare

Dopo dieci giorni di trattative, le discussioni intorno alla nomina del premier hanno diviso il Nuovo fronte popolare (Nfp). Il partito comunista francese, i socialisti e gli ecologisti hanno indicato Laurence Tubiana, ex ambasciatrice ai negoziati Cop 21 a Parigi e oggi direttrice generale della Fondazione europea per il clima, come potenziale prima ministra.

Ma alcuni deputati della coalizione di sinistra non hanno condiviso la scelta. Manuel Bompard, il coordinatore di La France insoumise (Lfi), si è opposto all’ipotesi Tubiana perché troppo vicina alle posizioni politiche di Macron. «Se questo è il profilo su cui lavorano i nostri partner, cadrò dalla sedia», ha detto a France 2.

I ribelli propongono Clémence Guetté, Manuel Bompard, Mathilde Panot e il leader di Lfi, Jean-Luc Mélenchon. Il partito di estrema destra Rassemblement national non ha invece indicato il nome del suo candidato.

Le poltrone del Rn

Bompard e i presidenti degli altri gruppi del Nfp hanno dichiarato in un comunicato stampa che il Rn «non ha posto nell’ufficio di una delle massime autorità» della Repubblica. La destra ha risposto che tutte le forze politiche hanno diritto di sedere in posti chiave della Camera.

«È inutile o fuorviante separare le diverse sfumature del Nfp. Da Lfi ai socialisti, dai verdi ai comunisti, sono tutti uniti, ma solo nell’odio della democrazia, del pluralismo e di quasi il quaranta per cento del popolo francese», ha scritto su X la fondatrice ed ex presidente del Rn Marine Le Pen.

La coalizione di destra reclama, tra le altre, la commissione finanziaria dell’Assemblea nazionale che, secondo una riforma costituzionale del 2008, spetta a un gruppo di opposizione. Al momento, e ancor più che nel mandato precedente, però, la nuova Assemblea è divisa in tre blocchi e non è facile stabilire quale sia l’opposizione e a chi effettivamente spetti.

«L’Assemblea deve essere rappresentativa dei principali equilibri» ha detto a CNews il vicepresidente del partito, Sébastien Chenu, aggiungendo che Rn non rinuncerà nemmeno a candidare qualcuno del gruppo alla presidenza della Camera. Tra i nomi dalla coalizione di destra per la presidenza, secondo quanto comunicato dal deputato di Rn Jean-Philippe Tanguy, quello di Chenu e quello della vicepresidente uscente, Hélène Laporte. Secondo Tanguy entrambi sono «assolutamente idonei» alla carica.

La sinistra, secondo quanto riferito dal primo segretario del Partito socialista Olivier Faure, sembrerebbe invece essersi accordata almeno su una candidatura unica per l’Assemblea nazionale. «Non darò un nome in questa fase, ma ne avremo uno solo per il primo turno», ha detto Faure alla Lci. Anche la presidente dell’Assemblea uscente, Yaël Braun-Pivet, deputata macroniana, la deputata repubblicana Annie Genevard e il centrista Charles de Courson si sono candidati alla guida dell’Assemblea nazionale, che raramente nella storia di Francia ha vissuto momenti di così grande incertezza.

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