I finanziamenti pubblici a sostegno dell’operazione voluta da Meloni in Albania sono ingenti, ma manca trasparenza sull’intesa, da un lato all’altro dell’Adriatico. I media albanesi non hanno accesso alle informazioni e rimane l’incognita su chi monitorerà una volta entrati in funzione
Nessuno sa. Questo è il tratto principale dell’accordo sui centri per migranti firmato dalla premier Giorgia Meloni e dall’omologo albanese Edi Rama. L’impiego di enormi risorse pubbliche – si stima oltre 800 milioni – non è riuscito a imporre trasparenza all’intesa e dopo quasi 7 mesi le incognite sono ancora moltissime. Difficili da sciogliere, da un lato e dall’altro dell’Adriatico.
«I media albanesi hanno diffuso solo le notizie date dal governo. L’unica fonte di informazione ufficiale era il primo ministro, mentre nessun altro ufficio ha dato spiegazioni», dice a Domani Roden Hoxha, direttore del Centro albanese per il giornalismo di qualità, ong con sede a Tirana.
Seduto di fronte all’università della capitale, Hoxha racconta che è quasi impossibile trovare informazioni dettagliate sul futuro di questi centri: «Sappiamo solo ciò che dice il capo del governo. Impedire ad altre parti dello stato di fornire informazioni ai giornalisti è una sorta di censura». A questo si aggiunge la situazione della stampa in Albania, dove la mancanza di finanziamenti e di sostenibilità porta a un appiattimento dei media. «Gli organi di stampa sono diversi, ma non c’è una differenza di pensiero e si autocensurano», spiega.
Per Hoxha la carenza di informazione si trasforma in assenza di empatia e interesse dei cittadini albanesi. E se il problema è sorto prima dell’apertura di questi centri, ci si chiede chi riuscirà a monitorare quello che accadrà all’interno una volta avviati. «C’è una barriera all’informazione», dice il direttore, «le istituzioni albanesi non ci danno notizie, ed è impossibile per noi chiederle all’ambasciata italiana».
Lo stato di diritto
Una delle principali criticità in Albania, fin dalla genesi dell’accordo, è stata l’assenza di dibattito pubblico e del coinvolgimento di esperti. Dorian Matlija, avvocato di Tirana e direttore esecutivo dell’ong “Res Publica” per la tutela dei diritti umani, spiega che non è una novità: «Non abbiamo una democrazia partecipativa». Secondo Matlija, alcuni non criticano il governo per paura di subire conseguenze.
Bisogna inoltre considerare, spiega l’avvocato, che il razzismo è già diffuso nella società albanese e questo potrebbe esporre i migranti a situazioni di violenza. Sono poi frequenti gli abusi della polizia: «È la norma», afferma l’avvocato. Le condizioni di detenzione sono pessime e vengono violati i diritti all’interno degli uffici di polizia: «Ci sono molti casi di intimidazione e pestaggi», prosegue. Va ricordato che la sicurezza esterna delle strutture è affidata alle forze dell’ordine albanesi.
Un pericoloso precedente
L’accordo viene definito dagli esperti un’eccezione mai vista. Se otterrà i risultati, anche minimi, voluti dalla premier «sarà un pericolosissimo precedente», dice Hoxha. Sono ancora molti i nodi da sciogliere, come la giurisdizione. Non è chiaro chi sia responsabile per quello che accade nelle strutture.
Una questione che non è stata chiarita nemmeno dalla Corte costituzionale albanese, dopo il ricorso presentato da 30 parlamentari di opposizione. La Corte, con una leggera minoranza, ha dato il via libera all’intesa, stabilendo che la giurisdizione sarà di entrambi gli stati.
«Non ha nessun senso», commenta l’avvocato: «Chi indagherà sui reati e gli abusi? Quale sarà il tribunale competente? È un enorme problema sotto il profilo penale, civile e dei diritti umani». Le aree sono state concesse allo stato italiano, ma l’Albania rimane responsabile di ciò che avviene nel suo territorio, sottolinea Matlija. Ha obblighi internazionali da rispettare – tra cui il divieto di deportazione collettiva, il diritto all’educazione, alla vita privata – «ma non sarà in grado di osservarli».
Certo è, conclude, che le pressioni internazionali attorno all’accordo hanno pesato sulla decisione: «Erano in gioco le relazioni con l’Italia». Questa intesa ha dato a Rama, che ha già un elevato consenso interno, un riconoscimento internazionale. Al contrario, Meloni ha guadagnato consenso interno. Ancor di più dopo aver ricevuto la benedizione europea e suscitato l’interesse di altri stati membri.
«È semplicemente retorica populista», conclude Hoxha, «se l’accordo raggiunge il loro obiettivo possono dire di avercela fatta. Altrimenti diranno di averci provato».
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