Un cartello e alcune frasi di denuncia per una protesta pacifica: «No alla Guantanamo italiana». Il deputato di +Europa Riccardo Magi era in attesa della delegazione italiana fuori dall’hotspot del porto di Shengjin, uno dei due centri per migranti previsti dal protocollo Italia-Albania, e stava manifestando il proprio dissenso alla stampa.

Alcuni uomini della sicurezza albanese si sono avvicinati, lo hanno bloccato e strattonato, provando a impedirgli di avvicinarsi alla macchina della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in Albania a pochi giorni dalle elezioni europee. «Diranno che è solo un graffietto, due gocce di sangue», ha commentato Magi, sottolineando che se questo trattamento è stato riservato «a un parlamentare, sotto alle telecamere della stampa, immaginate cosa potrà succedere ai poveri cristi che arriveranno qui a telecamere spente».

Le autorità albanesi

Il caso Magi in realtà solleva una questione rilevante per il futuro: preoccupazioni concrete sulla futura gestione della sicurezza esterna dei centri per migranti in Albania. Perché se quella interna, infatti, sarà di competenza italiana, tutto ciò che accade nel perimetro esterno è sotto la responsabilità delle autorità albanesi. E l’Albania, racconta a Domani l’avvocato di Tirana, esperto di diritti umani, Dorian Matlija, «ha problemi con lo stato di diritto»: difficoltà di accesso alla giustizia, di libertà di espressione e manifestazione, oltre alla brutalità della polizia. «Tutto ciò», spiega Matlija, «potrebbe danneggiare ancora di più le persone migranti».

L’abuso da parte delle forze dell’ordine «è quasi la norma», precisa. Ci sono stati casi di intimidazione e pestaggi negli uffici di polizia e molti di questi, dice Matlija, «non sono raccontati».

Abusi da parte della polizia albanese sono emersi anche in alcuni documenti interni di Frontex, ottenuti da Domani con un accesso agli atti. Nei rapporti dell’ufficio che monitora il rispetto dei diritti emergono trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei migranti per mano della polizia albanese, morti sospette nei centri temporanei di accoglienza a sud del paese, respingimenti collettivi ed episodi di intercettazione con metodi spesso violenti. Ne è un esempio un caso recente in cui hanno perso la vita sette cittadini pakistani, entrati dalla Grecia senza documenti, in un’incidente stradale nel sud dell’Albania causato da un inseguimento della polizia. «Le autorità albanesi avrebbero dovuto gestire l’intervento con modalità diverse garantendone l’incolumità», spiega Erida Skendaj, avvocata e direttrice esecutiva dell’Albanian Helsinki Committee.

Casi giudiziari

«In altri casi, gli agenti di polizia hanno cooperato con i trafficanti di esseri umani», racconta Skendaj. Una recente indagine della Spak, la procura contro il crimine organizzato, ha rivelato una rete attiva nel traffico di esseri umani, in cui erano coinvolti quattro poliziotti, uno dei quali aveva un ruolo direttivo nella polizia di frontiera.

«In Albania il traffico di esseri umani, lo smuggling, è uno dei nuovi interessi del crimine organizzato», spiega Skendaj. E hanno contatti, prosegue l’avvocata, anche in Serbia, Montenegro, Bosnia e Macedonia. Fonti investigative albanesi hanno raccontato a Domani che lo smuggling era un’attività, seppur secondaria, condotta da una rete criminale in parte attiva anche a Lezhe, città che comprende le località dove sorgeranno i centri di Shengjin e Gjader. Tra i sospettati della maxi inchiesta della procura il direttore ad interim della direzione della polizia locale di Lezhe. Per l’avvocata Skendaj, «le strutture previste dal protocollo italo-albanese rischieranno di dare nuova linfa all’attività del crimine organizzato», perché «è noto che nei Balcani occidentali i trafficanti operano vicino ai centri di migranti e alle zone di confine».

Violazione dei diritti umani

Saranno ancora più esposte al rischio le persone cosiddette vulnerabili. Meloni ha assicurato più volte che in Albania non saranno portati soggetti vulnerabili, come i minori. Ma una mappa del Genio militare, vista da Domani, smentisce la premier e prevede una stanza per “accoglienza minori”. «Non c’è nessuna previsione nell’accordo sul trattamento dei minori e di altri gruppi vulnerabili», spiega Skendaj, «ci sono solo dichiarazioni di politici, ma non ci si può basare sulle loro parole».

L’Albania, sottolinea l’avvocata, «viola le convenzioni internazionali che ha ratificato, considerando che l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per detenzione illegale di migranti e non solo. Così il governo albanese è complice di questo trattamento illegale». Resta, peraltro, l’incertezza sulla doppia giurisdizione dei centri. «Chi indaga se succede qualcosa?», chiede Skendaj, «l’autorità italiana o quella albanese?». Di certo i riflettori si spegneranno presto, l’attenzione calerà e, come accade per i Cpr italiani, non sapremo più nulla di quel che avverrà ai deportati di Gjader e Shengjin.

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