Il nostro viaggio in Albania, a Gjader, Shengjin e Tirana, dove sorgeranno i centri per migranti previsti dall’accordo tra il governo di Giorgia Meloni e quello di Edi Rama. Mercoledì la premier italiana è volata in Albania in fretta e furia, a pochi giorni dalle elezioni europee. Con il suo omologo ha visitato i luoghi in cui dovrebbero sorgere le strutture previste dal protocollo.

Prima una visita al sedime militare di Gjader, un paesino dell’entroterra, 70 chilometri a nord di Tirana. Qui dovrebbero sorgere un hotspot e un centro di permanenza per il rimpatrio, oltre a una piccola sezione che fungerà da carcere per chi commetterà reati, ha fatto sapere la premier durante la conferenza stampa congiunta. Ma è tutto ancora a uno stato embrionale, perché è un luogo abbandonato e sono necessari interventi strutturali, come la rete fognaria, impianti elettrici e bonifiche da ordigni bellici. 

Mentre a Shengjin è stata ultimata una struttura per l’identificazione e il fotosegnalamento, senza avere posti letto per il pernottamento. Il centro di Gjader è quindi funzionale a quello di Shengjin, rendendo così inutile la struttura pronta e inaugurata ieri da Meloni. 

Cosa non torna

Sono molte le criticità dell’accordo, sul piano dei diritti umani, così come sul piano della realizzazione. Per i cittadini albanesi, sentiti da Domani, è una «mossa populista», una decisione imposta dall’alto dal governo, senza un coinvolgimento né degli abitanti delle due cittadine, né delle organizzazioni della società civile.

Non è chiaro, inoltre, se la giurisdizione sarà italiana o albanese, e chi monitorerà sulla garanzia dei diritti delle persone che verranno recluse nei centri.

La costruzione dei centri è stata affidata al Genio militare e finanziata con 65 milioni di euro. Una cifra che potrebbe lievitare, vista la condizione del sedime militare e la difficoltà di metterlo in sicurezza. Si allungano quindi i tempi di realizzazione, con un rischio di aumento dei costi, che hanno già superato gli 800 milioni, secondo diverse stime.

Da un primo termine del 20 maggio, la premier mercoledì ha annunciato l’avvio il 1 agosto. Una data che non corrisponde a quella indicata nei documenti del Genio militare, in cui la fine lavori è prevista per ottobre-novembre. Per una non meglio precisata «estrema urgenza», i ministeri hanno affidato appalti e subappalti in deroga, nonostante il valore milionario dei lavori.

Senza trasparenza, né gare pubbliche, lavori finanziati da milioni di euro di fondi pubblici possono essere un obiettivo dei clan. Proprio in quella zona, un’inchiesta recente della Spak, la procura che indaga sul crimine organizzato, ha rivelato l’esistenza di sette gruppi criminali.

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