- Nonostante la Danimarca sia conosciuta come uno dei paesi più rispettosi dell'uguaglianza di genere, si classifica piuttosto male per quanto riguarda la violenza di genere. La società sembra ancora sorda quando si tratta di riconoscere i problemi che colpiscono le donne. Kirstine Holst, nel 2018, ha visto assolvere dal tribunale l'uomo che aveva accusato di violenza sessuale.
- Dopo l'assoluzione, Kirstine ha guidato con successo un movimento per riformare le leggi danesi sullo stupro verso un approccio basato sul consenso, anche di fronte alla resistenza della politica, alla copertura ostile dei media e a minacce di morte anonime.
- Questo reportage è stato realizzato in partnership con ereb, un media e piattaforma di giornalismo narrativo con sede a Parigi.
Kirstine Holst non suona il suo pianoforte a coda da oltre quattro anni. Occupa ancora una buona parte del suo soggiorno, ma ora è diventato l’angolino sotto cui si accuccia tranquillo Louis, il suo giovane Labrador Retriever. Iniziò quando aveva solo dieci anni, lo suonava almeno due volte a settimana. Nell’agosto 2017, però, la vita di Kirstine viene stravolta. Quel mese, accusa un suo amico di averla violentata.
Kirstine inizia la carriera da giornalista nel 2012. «Ho iniziato come editorialista, scrivendo su tematiche sociali di interesse generale, come i diritti individuali, la libertà di parola», racconta. «La mia opinione, allora, era che in Danimarca ci fosse uguaglianza». Con una risata allegra, aggiunge: «Non ero sempre d’accordo con le femministe». Inizia a diventare più consapevole sull’esistenza delle disuguaglianze di genere in Danimarca lentamente, «ma ero ancora conservatrice».
Tutto cambia nell’agosto del 2017. «Ero a Copenaghen», racconta, «avevo una riunione e così decisi di fermarmi a dormire da un amico. Fu quella notte, quando ero a casa sua, che lui venne nella mia stanza e mi violentò». Kirstine racconta di aver ripetutamente respinto le sue avances durante lo stupro, cosa che lo spinse ad afferrarla per la gola. Lei non urla, né lo picchia. «Invece di difendermi fisicamente, cercai di parlare con lui, con la persona che conoscevo, per farlo rilassare. Ma non ci riuscii, e così mi dissociai mente e corpo».
Il giorno dopo, Kirstine va a trovare altri due amici a Copenaghen e racconta loro tutto l’accaduto. Decidono così di accompagnarla al Centro per la violenza sessuale per un esame fisico e le raccomandano di denunciare l’incidente. «È stato difficile per me perché lo conoscevo, ero sotto shock», ricorda Kirstine. «Sono andata all’ospedale e mi sono fatta visitare, e due giorni dopo l’accaduto l’ho denunciato alla polizia».
Da quel momento, per Kirstine inizia un doloroso processo burocratico, durante il quale le viene richiesto di saltare da una stazione di polizia all’altra per registrare la sua denuncia, costringendola a rivivere quell’esperienza traumatica ogni volta. Sei mesi dopo, finalmente, il caso arriva in tribunale. Con grande sorpresa della donna, la polizia non conduce un’analisi tecnica sui vestiti che indossava la notte della violenza, nonostante secondo lei fossero visibili macchie di sperma dell’aggressione sessuale. La sentenza fa dunque riferimento solo al rapporto fatto dal Centro per la violenza sessuale dove Kirstine si era recata, e alle dichiarazioni di tre testimoni dell’accusa.
Due di questi testimoni sono gli amici che Kirstine visita il giorno dopo l’incidente. In loro presenza, lei viene messa di fronte all’uomo che ha accusato, e insieme testimoniano in tribunale di averlo sentito riconoscere l’aggressione. Uno di loro, Simon Krathalm Ankjærgaard, scrive persino un articolo sulla sua testimonianza dopo l’assoluzione.
In un articolo successivo, l’uomo accusato nega di aver mai ammesso l’aggressione, definendola «un’accusa grossolana e infondata» che era «sia falsa che incredibilmente dolorosa». In tribunale, sostiene di aver avuto un rapporto sessuale consensuale con Kirstine quella notte, e nega di averla afferrata per la gola.
Alla fine, il 26 febbraio 2018, il tribunale della città di Copenaghen assolve l’uomo. Secondo la Corte, l’accusa non è in grado di stabilire oltre ogni ragionevole dubbio che lui avesse usato «violenza premeditata o minaccia di violenza». Per quasi tutto l’interrogatorio, Kirstine parla con voce determinata, spesso scoppiando in una sonora risata per l’assurdità del sistema legale danese. Ma quando ricorda la sua esperienza in tribunale, la sua voce si rompe momentaneamente, rivelando il trauma che c’è dietro.
Nel 2018, la legge contro lo stupro, secondo la sezione 216 del codice penale danese, afferma che un individuo è colpevole di stupro solo se avesse «imposto un rapporto sessuale con violenza o sotto minaccia di violenza». La legge richiedeva anche che fosse provata un’intenzione criminale nel commettere il reato. «Nei casi di stupro in Danimarca, ci devono essere prove molto forti», dice Kirstine, «soprattutto nei casi in cui le due parti si conoscono, perché altrimenti l’autore può essere assolto per “mancanza di intenzione”».
L’inizio di una battaglia politica
Seduta al suo tavolo da pranzo con un’aria risoluta, Kirstine non cerca di nascondere il dolore del suo calvario. Piuttosto, è incoraggiata e motivata dal riconoscimento della sua importanza.
Dopo l’assoluzione, Kirstine contatta l’Ong Amnesty International, che in quel periodo stava preparando un report sulla diffusione della violenza di genere nei paesi nordici. Il documento, intitolato “Caso chiuso: stupro e diritti umani nei paesi nordici”, viene pubblicato nel 2019. «Le mie prove e i documenti hanno sostenuto le conclusioni di Amnesty – sulla polizia e sul tribunale», continua Kirstine.
L’assoluzione dell’uomo segna l’inizio di una campagna lunga un anno, condotta da Kirstine insieme ad altre persone e organizzazioni tra cui Amnesty, per riformare la legge sullo stupro in Danimarca. «Sono andata dai politici e dal ministro della Giustizia, ho detto loro dei problemi affrontati dalle donne e della necessità di una nuova legge», ricorda, raccontando il percorso che ha portato alla riforma dei dispositivi normativi sugli stupri. «Ho parlato in pubblico a manifestazioni, proteste e conferenze. Sono finita su media stranieri, ho scritto articoli sul Time e ho parlato con giornalisti di Al Jazeera, del New York Times, di Deutsche Welle».
Ma una parte dei media e dei politici danesi erano contrari alla riforma. «Molti uomini pensavano che una legge sullo stupro basata sul consenso fosse una cosa negativa, e c’erano sempre nuovi ostacoli», sostiene. «I media, l’unione dei giudici, l’unione degli avvocati difensori e i politici erano tutti contro una legge sullo stupro basata sul consenso. […] Penso che agli uomini di mezza età non piacesse l’idea che la legge sarebbe entrata nella loro camera da letto, che così avrebbero dovuto rispettare le loro mogli, e trovare il loro consenso. I politici e i giudici sono uomini comuni, con menti comuni».
Kirstine raccoglie la sfida. Si siede davanti al parlamento, tenendo un cartello dove si legge che tutti hanno diritto al consenso. «Creammo una “guardia del consenso”, e ogni giorno una nuova persona avrebbe tenuto il cartello fuori dal palazzo del parlamento», racconta.
Finalmente, nel dicembre 2020, quasi tre anni dopo aver dato inizio al suo movimento e dopo una grande pressione da parte degli attivisti, la Danimarca approva la legge che definisce il sesso non consensuale come stupro. Sempre. È stato il dodicesimo paese europeo ad adottare una norma di questo tipo. Con una nota trionfale, Kirstine aggiunge: «Nella legge hanno scritto anche che il matrimonio e la convivenza non sottintendono automaticamente il consenso».
Secondo il vice procuratore di stato Gyrithe Ulrich, nel 2021 c’è già stato un caso in cui è stata emessa una condanna per stupro grazie alla nuova legge in vigore. Ulrich è citata anche in un recente report dell’emittente danese Dr, che ha studiato gli effetti del cambiamento della legge per gli abusi sessuali nell’ultimo anno. Secondo la Dr, nel 2021, 2.126 persone hanno denunciato una violenza carnale, facendo segnare un aumento del 50 per cento rispetto al 2020.
Il “paradosso nordico”
Il fatto che paesi come la Svezia, la Danimarca e la Finlandia, che registrano regolarmente alti livelli nell’uguaglianza di genere, si rendano contemporaneamente testimoni di alti tassi di violenza di genere, viene identificato dai ricercatori come il “paradosso nordico”. Nell’ottobre dello scorso anno, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ha pubblicato la sesta edizione dell’Indice di uguaglianza di genere, in cui la Danimarca si è classificata come il secondo paese più paritario dell’Unione europea. La Danimarca ha costantemente mantenuto questa posizione dal 2005, ed è seconda solo alla Svezia. Tuttavia nel 2017, secondo un altro rapporto Eige, il paese ha contemporaneamente registrato il terzo punteggio più alto in Ue per quanto concerne la violenza contro le donne.
Già nel 2014, l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’UE (Fra) ha pubblicato una storica indagine sulla violenza contro le donne in 28 Stati membri dell’Ue. Il report ha rivelato che le donne danesi hanno riportato i più alti livelli di violenza fisica, sessuale e psicologica nell’Ue, così come la più grande prevalenza di molestie sessuali. Secondo l’indagine, un sorprendente 52 per cento delle donne danesi ha riferito di aver subito violenza fisica e/o sessuale dall’età di 15 anni.
Atreyee e i suoi colleghi hanno mostrato come i media danesi abbiano messo in discussione il rapporto usando la dichiarazione di una voce importante nel campo accademico danese, Karin Helweg-Larsen. Questa ex ricercatrice aveva dichiarato che «il presunto alto tasso di violenza maschile contro le donne in Danimarca era legato all’alto grado di uguaglianza di genere nei paesi nordici – con le donne privilegiate di questi paesi che semplicemente sopportano meno delle donne del Sud Europa».
Un’affermazione particolarmente interessante per Atreyee, che si sarebbe però aspettata questo tipo di risposta da una società profondamente patriarcale. «Il contraccolpo patriarcale narrativo in India, per esempio, è che “le ragazze se lo meritavano”, “perché indossavano una gonna” o perché “son ragazzi”. E si suppone che in uno stato sociale, nel primo mondo che rivendica privilegi, non si dovrebbero trovare simili risposte».
La ricercatrice sottolinea anche una sorta di confusione tra le stesse donne. «Le donne sentivano di essere state cresciute in una tale società della fiducia – dove dovevano fidarsi degli uomini e delle altre persone, che è altresì una componente dell’eccezionalismo danese – che hanno finito per non fidarsi di loro stesse».
Atreyee crede che la nozione di eccezionalismo sia centrale per capire la prevalenza della violenza di genere in Danimarca. «Il mito della parità di genere e la propagazione di questo mito è una delle qualità eccezionali della società danese», prosegue. «Qualsiasi contestazione di questa immagine o autocomprensione porta alla peculiare negazione di qualsiasi cosa negativa o peggiorativa sulla Danimarca».
All’epoca, i media danesi hanno ignorato, persino rifiutato, i risultati. «Volevano dimostrare che ciò che veniva detto nel rapporto non era giusto. Gli uomini, nei media danesi, sono riusciti a chiudere il dibattito in quel momento, nel 2014», dice Kirstine.
Ma anche in questo caso, un gruppo di donne era determinato a fare luce sui fatti. Nel novembre 2019, Atreyee Sen, professoressa associata all’Università di Copenaghen, e altre due persone, Marie Leine e Henrik Hvenegaard Mikkelsen, hanno pubblicato una ricerca sulla violenza sessuale in Danimarca e una risposta al report della Fra. L’élite politica danese – compresi i media, i politici e le istituzioni – ha dichiarato che il rapporto Fra del 2014 era “grottesco”, “fuorviante” e “inaffidabile”.
Secondo Atreyee, «Il sentimento eccezionalista nella società danese, l’idea che viviamo in uno stato sociale d’eccellenza, maschera le uguaglianze di genere, e anche altre disuguaglianze nel paese. C’è stato un forte sforzo combinato per mettere a tacere le voci delle donne che hanno parlato», sostiene Atreyee. «Diverse figure politiche, tra cui anche importanti donne della politica, accademiche e studiose conservatrici, si sono scagliate contro il rapporto».
Dibattito duro
Dopo l’assoluzione del suo ex amico, Kirstine ha dovuto affrontare sui social media molte reazioni da parte di persone che l’avevano accusata di essere una bugiarda. «Il dibattito pubblico è molto duro», sostiene. I media danesi e il dibattito pubblico in Danimarca sono lontani dal proteggere le vittime di aggressioni, secondo lei. «Diverse volte, nei tre anni successivi, molti uomini e donne hanno scritto articoli irrispettosi su di me», ricorda.
«Penso davvero che, a parte la cultura, i media siano parte del problema», afferma, «perché se non vogliono pubblicare articoli sulla questione, poi non ci può essere un dibattito pubblico. Penso che la cosa più importante da fare sia raccontare le storie delle vittime e condividere le loro esperienze».
Katrine Bindesbøl Holm Johansen, ricercatrice di un’organizzazione indipendente danese chiamata Lev Uden Vold (Vivere senza violenza), ha preso in esame i limiti dell’indice di parità di genere. «Se vogliamo studiare la relazione tra l’uguaglianza di genere e la violenza, dobbiamo capire le cause della violenza», sottolinea Katrine. “Non sono necessariamente legate ai sei ambiti [con cui si misura l’indice di uguaglianza] – è più complicato di così. Non c’è una sola causa, è una relazione complessa tra diverse condizioni sociali, psicologiche e culturali».
Dal 2011 al 2019, Katrine ha lavorato come ricercatrice e ha portato avanti il suo dottorato di ricerca sul tema delle percezioni e delle esperienze dei giovani con la violenza sessuale. Racconta una metafora comune usata dai giovani danesi che ha intervistato per spiegare la visione di genere delle relazioni eterosessuali: «Una serratura che può essere aperta da tutte le chiavi, è una cattiva serratura. Ma una chiave che può sbloccare tutte le serrature è un’ottima chiave». Katrine ha aggiunto che mentre questa dicotomia “macho contro puttana” non è unica nella cultura danese, «ciò che è eccezionale per la Danimarca è forse la nostra auto-percezione».
Il lavoro di Kirstine sulla questione delle violenze sessuali in Danimarca non è finito con la promulgazione della nuova legge. Nel gennaio 2021, si è unita ad altre quattro persone per co-fondare l’organizzazione Voldtægtsofres Vilkår (Interessi delle vittime di stupro). «Teniamo d’occhio il modo in cui la polizia gestisce i casi parlando con le vittime, ascoltando le loro storie e quel che sperimentano nella vita reale», spiega Kirstine. «Esaminiamo i casi nei tribunali, guardiamo come gestiscono la nuova legge, stiamo anche per istituire gruppi di sostegno per le vittime, in modo che possano aiutarsi a vicenda».
Tutte e tre le donne – Kirstine, Katrine e Atreyee – ribadiscono che la cosa più importante per la Danimarca, al momento, sia costruire una coscienza pubblica e un dibattito sulla violenza sessuale nel paese. Secondo Atreyee, uno dei modi per combattere la violenza di genere in Danimarca è la creazione di più opportunità per la ricerca, lo stanziamento di più fondi per la raccolta e la diffusione di dati e report.
«In Danimarca non c’è ancora la parità di genere», secondo Kirstine. «Lo sostiene MeToo. Ha mostrato che le donne non hanno la stessa protezione degli uomini sul posto di lavoro. E il primo passo è riconoscere il problema. Penso che ci siamo vicini, ma non ci siamo ancora».
Ad oggi, Kirstine non ha ancora ripreso a suonare il pianoforte. Alla domanda se sapeva quando si sarebbe sentita pronta a suonarlo di nuovo, scoppia in lacrime. È la prima volta in tante interviste con lei. «Era un regalo di mio padre», dice. «È morto pochi mesi prima dello stupro, e non sono nemmeno riuscita ad elaborare il lutto come si deve a causa di tutto quello che è successo. A volte penso che lo venderò; a volte cerco di sedermi e suonare ma non ci riesco», conclude Kirstine. «Succederà quando succederà».
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