Questo venerdì Bruxelles parla con Washington. È quel che sta tentando di fare sin da quando Donald Trump ha sferrato la guerra commerciale. «Non è troppo tardi per negoziare. Siamo pronti a rispondere ma preferiremmo non farlo. Continueremo a costruire ponti»: questa è la linea espressa per l’ennesima volta, poche ore fa, da Ursula von der Leyen. Offerte di appeasement mentre dall’altra parte è in corso una inarrestata offensiva commerciale mondiale.

La Commissione rinvia contromisure, invoca dialogo; la Casa Bianca continua imperterrita a bersagliare l’Unione europea. Non solo le merci, ma soprattutto le nostre regole. Quelle europee, e oltre: è il rules-based order, l’ordinamento internazionale, a essere sotto attacco.

Il caos come strategia

«There seems to be no order in the disorder»: non c’è un ordine dietro questo disordine, ha detto prima dell’alba di giovedì von der Leyen.

Poche ore prima, Trump aveva fatto esattamente quanto preannunciato: sparare dazi a raffica. Scavalcando la democrazia rappresentativa (il Congresso) in nome della «emergenza nazionale», si è piazzato con un cartello davanti a una bandiera verticale e con lo stile e il compiacimento di chi propina illusioni salvifiche come venderebbe un tappeto, si è rivoltato contro l’intero globo.

O quasi: la Russia è tra i pochi paesi esonerati dai colpi («ci sono già le sanzioni», si è schermita la Casa Bianca). Sono invece nella lista isole completamente disabitate (chissà se il Congresso si berrà che pure le colonie di pinguini siano una minaccia agli Usa). Vengono stroncati di dazi paesi in via di sviluppo. I territori d’oltremare francesi come l’isola della Réunion sono colpiti con dazi differenti da quelli riservati al mercato comune dell’Ue, di cui fanno a tutti gli effetti parte.

L’Ue è in bella vista nel cartello di Trump, al secondo posto dopo la Cina, esposta come bersaglio. Gli economisti si interrogano su come sia stato stabilito il grado di “colpa” commerciale che i trumpiani ci attribuiscono, e sul perché ad esempio contro l’Ue scattino dazi del 20 per cento e contro il Regno Unito il 10: il calcolo dell’amministrazione americana parte dal deficit commerciale degli Usa col paese in questione e lo divide con l’import da quel paese. «Economisti sconcertati», «metodo senza senso»: immediata la stroncatura da testate economiche come FT. Ignoranza o strategia del caos?

«Strategia della disperazione», la aveva definita Quinn Slobodian nell’intervista con Domani: gli Usa che non hanno più in pugno gli equilibri commerciali e il Wto (con la Cina arrembante) usano i dazi come strumento anarchico. Il che serve a fulminare gli altri nel breve termine ma non produce un ordine alternativo: la diagnosi di von der Leyen – «non c’è percorso chiaro attraverso il caos prodotto dal colpire i partner Usa» – è corretta, ma permeata dall’illusione che una ratio possa essere trovata a un tavolo negoziale che peraltro finora Trump ha fatto saltare.

Reazioni e impatto

«Finché la faccenda non verrà chiarita, è importante che gli investimenti in programma negli Usa vengano sospesi», ha detto questo giovedì il presidente francese rivolgendosi «ai grandi attori economici: mica vorranno investire miliardi nell’economia americana mentre veniamo colpiti?». Già dopo l’ultimo raduno dei volonterosi, Emmanuel Macron aveva fatto notare il paradosso di colpire gli europei proprio mentre si chiede loro di aumentare i contributi alla Nato; e definisce ora «brutali» i dazi.

Gli effetti per gli europei sono anche indiretti: gli altri paesi colpiti dai dazi Usa (a cominciare dal colosso cinese) potrebbero cercare nell’Ue un mercato alternativo, esportando a prezzi bassi con rischio di dumping per noi. Non a caso von der Leyen dice che «non possiamo assorbire la sovrapproduzione globale e non accetteremo dumping».

Se l’Ue non interviene per frenare l’attacco, spinta inflazionistica compresa, ne andrà anche del potere d’acquisto delle fasce più fragili, dato che i dazi non sono una misura progressiva ma «semmai regressiva: colpiscono i più vulnerabili sia negli Usa che all’estero», come dice l’economista Mariana Mazzucato. Anche per questo il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato già questo giovedì lo stanziamento di 14 miliardi per «mitigare gli impatti della guerra commerciale» con un “Piano di risposta e rilancio commerciale”.

«Questi dazi faranno solo perdenti, anche negli Usa», è il responso del cancelliere (ancora per poco) Olaf Scholz: «Germania ed Europa sono per il libero scambio. Difenderemo i nostri interessi».

Le mosse europee

In che modo? Bruxelles dice di studiare contromisure (in realtà già prima dell’inaugurazione trumpiana ci si preparava ai dazi) ma ha aspettato il 2 aprile senza intervenire, nella speranza che poi Trump avrebbe negoziato. L’Ue ha rinviato a metà aprile le prime contromisure già previste; tanto governi come quello italiano o polacco, quanto economisti di area draghiana, hanno frenato fino all’ultimo sull’idea di rispondere a dazi con dazi.

Bernd Lange, che presiede la commissione commercio dell’Europarlamento e sarà in Usa nei prossimi giorni, ammette che l’Ue non intende utilizzare il proprio strumento anticoercizione – fatto proprio per contrastare pressioni e minacce economiche da paesi terzi – se non come arma di ultima istanza: «Altrimenti partirebbe una escalation».

Il commissario al Commercio Maroš Šefčovič, che questo venerdì parlerà con gli americani, è già stato due volte a Washington senza per questo frenare l’attacco e i trumpiani hanno ribadito pure questo giovedì che «il presidente non farà retromarcia».

Su cosa si baserà quindi questo dialogo che gli europei continuano a invocare (o a pietire, come ha fatto sui social pochi giorni fa Tusk) e che attendono per le prossime settimane? Ogni mossa di Trump e dei suoi – comprese le dichiarazioni sul pollame e «sulle nostre belle mucche che l’Ue non vuole» – indica esplicitamente che vuole smantellare le nostre regole, sia quelle tech tanto invise a Musk che il principio di precauzione dell’Ue, che per lungo tempo ha impedito l’ingresso di polli al cloro, carne agli ormoni, ogm. Anni fa, di tutto ciò si era negoziato nell’ambito di un trattato di libero scambio con gli Usa (il Ttip); ora gli Usa vogliono smantellare le regole senza neppure più il free trade.

Negli ultimi tempi Bruxelles ha già spinto verso la deregolamentazione (ad esempio per le tecnologie genetiche), Draghi premier aveva preannunciato svolte sugli ogm. E nelle ultime settimane l’Ue – con l’alibi della semplificazione – ha fatto passi indietro sulle proprie regole per la responsabilità socioambientale d’impresa.

Questo giovedì ad amplissima maggioranza l’Europarlamento ha detto sì a “stop the clock”: si tratta di rinviare l’applicazione della direttiva su due diligence e sostenibilità. Poche settimane fa, Macron ha detto con soddisfazione che «ci stiamo togliendo gli auto-dazi». Si riferiva a tutele e regole. Proprio quel dna europeo che Trump vuole modificare.

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