«I dazi fanno solo del male, ecco perché avevo perorato un accordo a dazi zero tra Ue e Usa, uno zero-for-zero tariff agreement», ha rilanciato la presidente della Commissione europea, mentre l’inquilino della Casa Bianca recitava la sua piroetta: dal «nessun negoziato» di inizio aprile al «ciascun paese vuole un accordo» di un giorno fa. «It is not a negotiation until it is». Che è come dire: «Non è negoziato finché non lo decido io».

E infatti questo giovedì il commissario Ue al Commercio, Maroš Šefčovič, dopo aver interloquito con Washington si è finalmente lasciato andare a un «Ci prepariamo a entrare in negoziati degni di tale nome». Ursula von der Leyen continua a propagandare agli europei il miraggio dello «zero a zero», proposta che risale al primo mandato Trump. Ma la realtà attuale è il ”tre a zero” di Trump contro l’Ue.

Sia gli Usa che l’Ue hanno da poco annunciato un congelamento di dazi di 90 giorni; tutte le pause sono uguali, ma, parafrasando Orwell, alcune sono più uguali di altre.

Una pausa impari

L’annuncio trumpiano di mercoledì porta infatti per 90 giorni dal 20 al 10 per cento i dazi «reciproci» lanciati nel Liberation Day. Ma quel 10 resta in vigore. Soprattutto, restano integralmente valide le altre tranche di dazi: il 25 per cento contro il settore auto e il 25 contro acciaio e alluminio.

Dopo averli sapientemente ritardati, Bruxelles proprio poche ore prima della parziale desistenza trumpiana aveva appena approvato i suoi primissimi controdazi in risposta a quelli contro acciaio e alluminio lanciati dagli Usa un mese fa. Che restano intonsi e attivi, mentre la Commissione dà un colpo di spugna ai suoi. «Accolgo come un passo importante l’annuncio di Trump di mettere in pausa i dazi reciproci», dice von der Leyen (dichiarando il falso perché restano in vigore, anche se solo al dieci). «Vogliamo dare una chance ai negoziati» (che finora è stato Trump a respingere). «Perciò mettiamo in pausa le contromisure Ue per 90 giorni».

Dunque neppure la lista sforbiciata (senza alcolici) è più valida. Lo squilibrio non è passato inosservato durante il midday briefing di questo giovedì: la platea di cronisti internazionali ha insistentemente chiesto spiegazioni ai portavoce della Commissione. Che ripete: «Abbiamo premuto il pulsante pausa». Vale sia per le ulteriori contromisure che Bruxelles diceva di aver messo in cantiere, sia per quelle appena approvate: sono congelate per 90 giorni, dopodiché in teoria in assenza di accordi soddisfacenti dovrebbero partire.

Ma a chi chiede se la pausa possa essere prorogata la Commissione svicola con un «Non abbiamo certezza neppure dei prossimi 90 minuti», alludendo alla imprevedibilità trumpiana. Quando Trump ha postato l’annuncio di pausa, l’Ue ha preso tempo prima di confermarne il reale impatto per l’Ue. Persino questo giovedì mattina il portavoce ha usato un cauto «my understanding is» («io l’ho capita così») per dire che gli altri dazi Usa restano attivi. La Commissione non si sbilancia neppure sul fatto che gli Usa la avessero o meno preallertata.

Ue sincronizzata su Trump

Certo è che almeno il giorno prima dell’annuncio-retromarcia di Trump il commissario al Commercio Ue ha interloquito col suo omologo Usa. Questo giovedì ha pure detto che gli aggiornamenti sono «su base quotidiana». La continuità di interlocuzioni e la tempistica delle mosse Ue fanno ritenere che queste ultime siano state sincronizzate su quelle trumpiane.

A ridosso del Consiglio europeo del 20 marzo Bruxelles aveva rinviato le sue prime contromisure, arrivate sul tavolo solo questa settimana. A quel punto si è attivata una sorta di trappola ermeneutica: Trump ha sforbiciato e congelato alcuni dazi verso chi «non ha reagito e vuole negoziare»; von der Leyen ha avuto buon gioco nel bloccare anche i dazi Ue appena approvati, anche se in realtà dovevano essere una risposta ai primi attacchi di Trump contro acciaio e alluminio.

La Commissione sa dall’inizio – lo ha detto a marzo il commissario Šefčovič quando l’Ue ha rinviato le sue contromisure – che Trump avrebbe rifiutato un negoziato vero e proprio fino al 2 aprile perché non voleva rinunciare all’annuncio del Liberation Day. Un vero tavolo sarebbe partito solo dopo; Bruxelles ne ha tenuto conto quando ha rinviato i controdazi. Ora Šefčovič può prospettare negoziati «meaningful» (degni di tal nome).

Cina e scelte in vista

Entusiasti della ritirata di Bruxelles si mostrano i governi più filotrumpiani (quello orbaniano rivendica il suo no ai controdazi Ue) e filoatlantici (Tusk ribadisce a von der Leyen che «nel difendere i propri interessi bisogna pure proteggere l’alleanza transatlantica»). Il capodelegazione di FdI all’Europarlamento, Carlo Fidanza, dice che «il messaggio di Trump agli europei è: ci state o no a entrare in un blocco anticinese?».

Questo venerdì Pedro Sánchez è in Cina; una missione «coordinata con l’Ue», dice la Commissione. Von der Leyen andrà a Pechino a luglio. La relazione resta caratterizzata da ambiguità: la principale urgenza di Bruxelles pare essere che la Cina non inondi il mercato europeo con quel che non esporta più in Usa. In tal senso è corretta l’interpretazione di Fidanza: Trump punta ad allineare l’Ue contro la Cina. Lo conferma il fastidio del segretario Usa al Tesoro verso il viaggio di Sánchez.

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