«Con gli Usa vogliamo negoziare. Abbiamo offerto un accordo a tariffe zero per i beni industriali». Così se ne è uscita questo lunedì Ursula von der Leyen, battendo sul tempo la conferenza stampa del commissario europeo al Commercio che a quel piano sta lavorando da settimane.

La presidente ha creato così l’illusione di uno slancio: di fronte al terremoto economico e commerciale in corso, con i trumpiani stessi che ormai dubitano dei piani trumpiani, e con l’opportunità per l’Ue di mostrare una qualche leadership internazionale al globo che Trump ha fatto a pezzi, nessuno si aspetterebbe che una potenza commerciale come l’Unione europea possa semplicemente restare paralizzata, sperando nella compiacenza di chi la attacca.

Eppure è ciò che sta accadendo: come la stessa von der Leyen ha dovuto riconoscere, l’offerta di cui parla è vecchia – «è stata fatta tempo fa e ripetuta per il settore auto» – ed è già stata respinta da Washington.

Contromisure analcoliche

Questo martedì von der Leyen incontra Big Pharma perché la farmaceutica è la prossima nel mirino di Donald Trump: lui sta per annunciare il terzo affondo commerciale che va a colpire l'Unione europea. E l’Ue invece deve ancora rispondere al primissimo degli affondi, quello su alluminio e acciaio. Parliamo della tornata di dazi antecedente al “Liberation Day” e all’annuncio dal giardino delle rose.

Ormai un mese fa la presidente aveva annunciato una reazione da 26 miliardi a dazi del valore di 28 (già uno sconto); a metà marzo era stato pure deciso un rinvio delle contromisure. Questo lunedì finalmente i governi hanno trovato una sintesi, ma è sintesi nel senso che è più ridotta del previsto: sia la portata che la lista di beni statunitensi da colpire è decurtata.

Non c’è il bourbon, ad esempio: Giorgia Meloni porta in dote alla Casa Bianca una bottiglietta di whiskey. I governi europei – e quello italiano in primis – stanno dando a Trump il segnale che il linguaggio del ricatto funziona con loro; è bastato un suo vecchio post sugli alcolici («vino, champagne» da tassare «al 200 per cento») a gettarli nel panico, anche se con gli elettori professano calma.

Questo lunedì si è riunito il Consiglio Ue al Commercio, coi ministri competenti in quest’ambito (per l’Italia è andato Antonio Tajani). Oltre a scandagliare la fantomatica lista – che sarà votata mercoledì, adottata nella sua versione finale il 15 aprile e che inizierà a dispiegare i suoi effetti da lì a metà maggio – c’era da mettere insieme soprattutto le volontà politiche. Che però latitano. Il messaggio ufficiale – lo si era già stabilito – è quello della «unità», ma per fare cosa?

Il ministro degli Esteri orbaniano Péter Szijjártó vuole «meno dazi a Trump»: altro che contromisure. Come accade da tempi immemori, il governo Orbán dice esplicitamente ciò che però pure altri sostengono. L’esecutivo meloniano è tra quelli che frenano su una reazione.

L’illusione di un’intesa

Fino a qualche settimana fa si sarebbe potuto dire che l’Ue chiede di negoziare; che «preferiamo negoziare»; che «prepariamo le contromisure ma preferiremmo non dover usarle». Così ripete ormai da tempo von der Leyen. Ed è da febbraio che il commissario al Commercio parla con Washington. «Il mio primo incontro personale con Lutnick, il mio omologo Usa, risale al 19 febbraio», ha riavvolto il nastro Maroš Šefčovič questo lunedì. 

Ma l’amministrazione Usa rifiuta di impegnarsi in negoziati; dunque ormai von der Leyen, più che chiederli, pare pietirli. Non tiene conto né dell’interlocutore né del momento: il presidente americano è stato allenato alla scuola dell’avvocato della malavita Roy Cohn e anche quando sa di essere in errore «attacca, attacca, attacca», dunque mostrarsi remissivi con lui è letale anche (e di più) se l’obiettivo è negoziare; inoltre in questi giorni persino i trumpiani dubitano dei piani di Trump sui dazi, di fronte alle reazioni della loro stessa economia.

L’Ue potrebbe cogliere il momento e mostrare capacità di leadership, in un contesto globale che è unito dall’essere attaccato dagli Usa. Non è questa l’opzione scelta.

Il piano riciclato

Bisogna ascoltare Šefčovič per definire il perimetro dell’accordo «dazi zero» annunciato da von der Leyen (e già archiviato dagli Usa). «Abbiamo esplorato questo tipo di opzione nell’incontro di febbraio. Il settore auto ha un valore simbolico per l’amministrazione Usa e quindi ho detto, vediamo come azzerare i dazi. Da allora ne abbiamo discusso per ore e ore, noi eravamo pronti a discuterne anche per tutti i settori industriali. Un mercato transatlantico è importante per il futuro». Ma nell’oggi, dagli Usa nessuna apertura di tavolo.

La presidente della commissione Mercato interno dell’Europarlamento, Anna Cavazzini, smaschera von der Leyen: «L’accordo di cui parla, von der Leyen, è una proposta fatta già 7 anni fa». Il riferimento è ai tentativi fatti da Jean-Claude Juncker durante la guerra commerciale del primo mandato di Trump. «Attendiamo con ansia nuove risposte al caos doganale di Trump».

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