L’attore 76enne è accusato di aggressioni sessuali su due donne durante le riprese del film "Les volets verts": rischia fino a 5 anni di reclusione, ma nega le molestie. Dal caso Matzneff a Roman Polanski, fino alle attrici che all’epoca del #MeToo hanno difeso Weinstein parlando di «libertà di sedurre e importunare», nel paese persiste un «culto dell'autore» che «pone il genio artistico, necessariamente maschile, al di sopra della legge», sostiene la docente Geneviève Sellier. Ma dal processo Pelicot è partita una trasformazione culturale
Lunedì 24 marzo è iniziato a Parigi il processo penale contro Gérard Depardieu, pluripremiato attore francese di 76 anni accusato di aggressioni sessuali nei confronti di due donne durante le riprese del film "Les volets verts", del 2021, e che rischia, in caso di condanna, fino a cinque anni di reclusione e una multa da 75mila euro.
A pochi mesi dalla conclusione dello storico caso giudiziario di Gisèle Pelicot, il caso Depardieu raccoglie la denuncia di un intero movimento nazionale femminista che da anni accusa la Francia di non voler affrontare la violenza sessuale quando commessa dalle sue figure culturali più popolari.
Le accuse a Depardieu
A sporgere la denuncia a carico di Depardieu sono state una scenografa di 54 anni, Amélie (i nomi completi non sono stati resi pubblici per proteggere la loro privacy), e un'assistente alla regia di 34, Sarah (pseudonimo), che hanno dichiarato che l’attore le avrebbe bloccate e palpeggiate sul set, mentre l'assistente alla regia ha riferito di essere stata aggredita anche per strada.
Depardieu ha ammesso di aver toccato l'anca di una delle accusatrici, ma ha sostenuto che fosse un gesto per evitare di scivolare e non un atto di aggressione sessuale. Ha anche riconosciuto di aver usato un linguaggio volgare sul set, ma ha negato tutte le accuse di molestie, affermando di non avere motivo per toccare una donna in modo inappropriato e sottolineando le sue condizioni fisiche e di salute (ha detto di essere «troppo vecchio e grasso» per aggredire qualcuno). Depardieu ha poi attaccato il #MeToo: «Sta creando un clima di terrore», ha dichiarato il secondo giorno di udienza.
Oltre al processo in corso, sono più di venti le donne che hanno accusato Depardieu di stupri e molestie su set cinematografici tra il 2004 e il 2022. Tuttavia, la stragrande maggioranza di loro non ha presentato denuncia e, dei pochi esposti formali, sono solo due le cause attive per stupro e violenza sessuale a carico dell’attore.
Insieme al processo per le molestie sul set di "Les volets verts", sono infatti ancora in corso le indagini per violenza sessuale nei confronti dell'attrice e ballerina Charlotte Arnould, che nell'agosto del 2018 ha denunciato l'attore di averla aggredita sessualmente nella sua residenza parigina durante delle sessioni di prova. Dopo un'indagine durata nove mesi, le accuse, negate da Depardieu, sono state archiviate nel 2019 per insufficienza di prove, ma nel 2020 il caso è stato riaperto e a dicembre dello stesso anno Depardieu è stato formalmente accusato di stupro.
Il processo Depardieu non è l’unico dell’ala francese del movimento #Metoo, che nel paese è stato rinominato #balancetonporc, ovvero “denuncia il tuo maiale”, ma è il caso che riguarda la figura di più alto profilo e conosciuta, anche internazionalmente, di tutte quelle accusate in Francia. E intorno a lui si è raccolta per difenderlo una parte dell'élite politica e culturale del paese.
Una cultura lenta ad affrontare gli abusi
A dicembre 2023 circa sessanta personalità del mondo della cultura francese, tra cui attori, registi e cantanti, hanno firmato una lettera aperta in cui denunciavano il «linciaggio» mediatico nei confronti dell'attore, sostenendone l’innocenza. Anche il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in una puntata del programma tv "C à vous" ha difeso Depardieu, definendolo «un orgoglio per la Francia», e ha detto di non avere intenzione di revocargli la Legion d'Onore, la massima onorificenza nazionale e ricevuta dall’attore nel 1996. Macron ha poi denunciato una «caccia all'uomo» nei confronti di Depardieu, in seguito alla messa in onda di un'inchiesta sull’attore.
Alcuni esperti hanno visto nel gremito sostegno alla presunzione di innocenza di Depardieu le radici della lentezza dell'industria cinematografica francese, peraltro una delle più grandi del mondo, nel rispondere al #MeToo, che in Francia non ha avuto immediatamente lo stesso impatto culturale che invece è stato avvertito negli Stati Uniti.
Secondo Geneviève Sellier, docente di studi cinematografici all'università Montaigne di Bordeaux, il sostegno dell’establishment del paese a Depardieu racconta di un «culto dell'autore» che è stato a lungo utilizzato per scusare o nascondere comportamenti riprovevoli e che «pone il genio artistico, considerato necessariamente maschile, al di sopra della legge», ha detto Sellier a France24. «Questa tradizione francese spiega in parte perché il paese rimanga ampiamente cieco alle realtà del dominio e dell'abuso maschile», ha aggiunto.
Tra i casi che hanno sollevato più interrogativi sulla complicità e il silenzio del settore culturale francese su situazioni di abuso c’è quello di Gabriel Matzneff, scrittore francese noto per aver descritto nelle sue opere relazioni sessuali con minori e per aver promosso nel 1977 una petizione per la depenalizzazione della pedofilia, firmata, tra i vari intellettuali francesi, da Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. Per anni Matzneff è stato ospitato in trasmissioni televisive per discutere apertamente delle sue relazioni con minori e nel 2013 ha ricevuto anche il prestigioso premio letterario Prix Renaudot. La figura dello scrittore è stata molto discussa (e riconsiderata) con la pubblicazione nel 2020 del memoir di Vanessa Springora, "Il consenso”: nel libro l’autrice descriveva gli abusi subiti a partire dall’età di 14 anni, quando Matzneff ne aveva 49.
Negli anni anche il fatto che Roman Polanski, regista franco-polacco condannato per atti sessuali illeciti con una minorenne negli Stati Uniti, continui a vivere e lavorare in Francia con una quasi totale impunità è stato segnalato dalle organizzazioni femministe francesi come indicativo dell'atteggiamento permissivo del paese nei confronti degli artisti accusati di violenza sessuale. Quando nel 2020 Polanski vinse il premio per miglior regista per il film “L'ufficiale e la spia”, alcune donne presenti in sala, tra cui l'attrice Adèle Haenel, hanno abbandonato la cerimonia in segno di protesta.
Haenel, che si era già ritirata dal cinema per la «compiacenza» dell'industria francese «nei confronti degli aggressori sessuali», è diventata una delle voci più in vista del paese in materia di abusi da quando ha accusato il regista Christophe Ruggia, poi condannato, per aver abusato di lei sessualmente quando era bambina. «Non sono la prima e spero di non essere l'ultima», aveva detto Haenel, «in Francia c'è così tanto da fare».
Divisioni generazionali sul #balancetonporc
A gennaio 2018, a pochi mesi dallo scoppio dello denunce per abuso sessuale contro il produttore americano Harvey Weinstein, cento artiste francesi, tra cui l’attrice Catherine Deneuve, hanno scritto una lettera aperta pubblicata dal quotidiano francese Le Monde, in cui affermavano che «la libertà di sedurre e importunare è essenziale per la libertà sessuale». Le autrici della lettera sostevano, inoltre, che il flirt non dovrebbe essere confuso con la molestia, mettendo in guardia contro il «puritanesimo americano».
Ma il sostegno agli artisti accusati di violenze ha scatenato nel tempo una raffica di petizioni e la differenza di età evidenziata tra le due frange concorrenti ha riacceso il dibattito su un gap generazionale rispetto alla scissione, o meno, della vita privata e della vita pubblica dei lavoratori dello spettacolo.
«È un divario che non fa che riflettere i meccanismi di dominazione sociale in gioco nei casi di violenza, sia nelle arti che in altri settori. La maggior parte delle artiste che hanno parlato sui media sono, per lo più, persone che hanno già fatto, almeno parzialmente, carriera e che ora trovano un ambiente che le supporta. È sempre stato più difficile per attrici giovani e poco conosciute, a causa dei numerosi costi economici, reputazionali, legali, ma anche psicologici», dice a Domani Claire Ruffio, ricercatrice francese presso l'università Paris 1 Panthéon-Sorbonne, specializzata nella mediaticità delle violenze sessuali in Francia.
E dalla scelta di Pelicot, drogata e violentata dal marito Dominique Pelicot e da altri 72 uomini, di tenere il processo a porte aperte, con un impatto che l’ex premier francese Michel Barnier ha definito con «C’è un prima e un dopo Mazan», la Francia sembra non poter più tornare indietro da un dibattito nazionale e internazionale sulla percezione sociale della violenza sessuale.
Dalla mobilitazione di movimenti femministi e della società civile fino a nuove misure introdotte dal governo, è in corso una trasformazione culturale incorporata nella deposizione in tribunale di Fanny Ardant, 76 anni, una delle migliori e più celebri attrici francesi della sua generazione, ma anche collega e amica di Depardieu dal primo film insieme, nel 1979, chiamata a testimoniare mercoledì al processo perché tra i protagonisti del film “Les volets verts”.
«Io allargherò il dibattito. Dirò perché Gérard è un attore così grande. Qualsiasi forma di genio porta in sé qualcosa di stravagante, di indomabile, di pericoloso, di incarnato», ha detto in aula l’attrice. «Ho udito delle grida, ma non ho mai assistito a nulla. Anch’io sono una donna. Ho vissuto cose del genere, ho rifilato anche degli schiaffi, ho gridato insulti. Ma non ho assistito a nulla».
Ardant ha poi ripreso: «Lo so che la società è cambiata, che i punti di riferimento non sono più gli stessi, ci sono cose che venivano tollerate e che oggi non sono più tollerabili».
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