Presentato l’atteso rapporto sulla competitività: 170 proposte circa per il futuro dell’Unione. Per raggiungere gli obiettivi «sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui», ha detto l’ex premier italiano, che ha bocciato il criterio del voto all’unanimità: «Estendere il voto a maggioranza qualificata»
«Abbiamo detto molte volte che la crescita sta rallentando da tempo nell'Ue, ma lo abbiamo ignorato. Fino a due anni fa non avremmo mai avuto una conversazione del genere perché le cose andavano bene. Ma ora non possiamo più ignorarlo: le cose sono cambiate». Apre così Mario Draghi la presentazione dell’atteso rapporto sulla competitività dell’Unione europea, che anticipa la composizione della nuova Commissione in programma mercoledì.
Secondo l’ex presidente della Bce e del Consiglio dei ministri italiano, fondamentale è quindi investire in produttività. Per crescere, però, servono dei cambi radicali.
In particolare servirà aumentare gli investimenti per ridurre e colmare il divario che si è creato con Stati Uniti e Cina in termini di innovazione. Bisognerà inoltre continuare sulla strada della decarbonizzazione, cercando contemporaneamente di mantenere la competitività. Fondamentale, in questo senso, è la riduzione delle dipendenze, in diversi ambiti.
Servirà migliorare «l’approvvigionamento e l’offerta di energia pulita» e «sviluppare una vera e propria “politica economica estera” basata sulla sicurezza delle risorse critiche», con un’attenzione particolare alle materie prime. Nell’ambito della difesa sarà invece necessario aumentare i finanziamenti europei e concentrarli in iniziative comuni. Von der Leyen, presente alla conferenza stampa, ha dichiarato che gran parte del rapporto confluirà, o è già confluito, all’interno delle linee d’indirizzo politiche della Commissione.
Per raggiungere i propri obiettivi ci sarà bisogno di un fabbisogno finanziario «enorme», indicato in 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, pari al 4,4-4,7 per cento del Pil europeo nel 2023 e decisamente superiori all’1-2 per cento che rappresentava il Piano Marshall. Un fabbisogno ingente che dovrà essere coperto da investimenti privati, che però non basteranno.
Per questo Draghi ha chiamato in causa il ricorso a strumenti di debito comune, sulla scorta del NextGenerationEu che ha portato in dote il Pnrr. Il debito comune è però un tema delicato, che ha visto spesso l’opposizione dei paesi cosiddetti frugali, ma che sarebbe utile secondo il rapporto nel finanziamento di progetti di investimento finalizzati ad aumentare la competitività e la sicurezza. L’importanza di questo passaggio è dimostrata, tra l’altro, dal fatto che anche la stessa Von der Leyen ha sottolineato la necessità di strumenti di finanziamento comuni per determinati progetti comunitari, come per esempio la difesa e la questione energetica, per i quali servirà trovare una volontà unitaria. Per tutto ciò secondo l’ex premier ci sarà bisogno di regole di bilancio più forti per la sostenibilità dei debiti nazionali.
L’ex presidente della Bce ha inoltre affrontato un’altra questione politica, ovvero il tema del voto all’unanimità. «Finora, molti sforzi per approfondire l’integrazione europea tra gli stati membri sono stati ostacolato dal voto all’unanimità – ha scritto Draghi nel rapporto –. Dovrebbero quindi essere sfruttate tutte le possibilità offerte dai Trattati Ue per estendere il voto a maggioranza qualificata» e quindi aumentare il numero di aree in cui non essere bloccati da una necessaria decisione unanime dei paesi membri.
«Dobbiamo assumere un nuovo atteggiamento nei confronti della cooperazione» ha insistito l’ex presidente del Consiglio. Per farlo e per avanzare ci sono diversi modi, «ma ciò che non possiamo fare è non avanzare affatto».
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