La presidente e Mario Draghi lavorano per introdurre due importanti modifiche: un commissario alla Difesa e una strategia industriale. Queste riforme porterebbero tutto il settore sotto il controllo diretto della Commissione. Il rapporto dell’ex premier va in quella direzione
La scelta di prossimi commissari è già iniziata, ma c’è una casella ancora vuota che potrebbe cambiare gli equilibri in Europa e incidere sul futuro del Vecchio Continente: quella del commissario alla Difesa. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha costruito la campagna per la sua rielezione intorno al tema della difesa, promettendo un’Unione più forte, in grado di difendere se stessa e di competere a livello industriale con le maggiori economie del globo. Per raggiungere questo obiettivo, la presidente ha in mente due importanti modifiche: la nomina di un commissario ad hoc e l’adozione di una Strategia industriale europea per la difesa.
Il nuovo commissario dovrebbe dirigere la Direzione generale per l’industria della difesa e dello spazio creata nel 2019, occupandosi quindi di coordinare gli acquisti degli stati membri e cercando di armonizzare i sistemi industriali nazioni. L’obiettivo è quello di rafforzare la base industriale europea, incrementare la produzione militare e spingere i governi nazionali a ridurre gli acquisti fuori Europa. La Commissione ha iniziato a lavorare su questi aspetti già da prima della guerra in Ucraina, approvando una serie di fondi per il sostegno alle industrie e al mercato interno.
Con lo scoppio del conflitto russo-ucraino l’attenzione verso il settore militare-industriale è ulteriormente aumentato e la crescente preoccupazione degli stati membri ha aiutato la Commissione ad ampliare il suo potere in una materia su cui i governi nazionali hanno sempre mantenuto un forte controllo. L’Ue infatti non possiede un esercito comune, né una politica estera comune, ma la Commissione ha usato le sue competenze in ambito industriale per inserirsi nel campo della difesa.
Da qui l’idea di lanciare una Strategia industriale che porti gli Stati membri a destinare il 50 percento dei loro bilanci all’acquisto di materiale prodotto nell’Unione entro il 2030, con un aumento al 60 percento entro il 2035. Ma l’attenzione è diretta anche verso l’export.
Un altro strumento che la Commissione vorrebbe lanciare è la versione europea del Foreign Military Sales (Fms) statunitense, il programma attraverso il quale il governo Usa vende materiali d’armamento e servizi a paesi terzi tramite finanziamenti governativi e sfruttando il proprio peso geopolitico. I contratti vengono stipulati tra governi e non tra aziende americani e paesi esteri, il che rafforza il peso contrattuale e la competitività delle imprese statunitensi.
Vantaggio per le industrie
Sia sul commissario che sulla Strategia industriale ci sono però diverse incertezze. Il primo potrebbe appropriarsi di una parte importante delle competenze del commissario del mercato interno, riscrivendo così gli equilibri interni della Commissione, e rischia di ridurre il potere dell’Agenzia di Difesa europea. L’Eda si occupa di monitorare e agevolare la cooperazione militare europea, ma è già stata in parte esclusa dalla gestione dei fondi comunitari per le industrie della difesa proprio dalla Commissione. La creazione di un commissario ad hoc potrebbe emarginarla ulteriormente, mettendo al primo piano il rapporto Commissione-industrie.
Sulla Strategia invece pesano le perplessità dei governi nazionali, poco propensi a delegare le proprie competenza in materia di difesa all’Ue e sempre pronti a mettere al primo posto gli interessi delle proprie aziende. Per realizzare i propri piani, però, la Commissione ha bisogno di fondi ingenti e di lungo periodo da dedicare al settore industriale e anche su questo punto manca ancora un accordo tra gli Stati. La necessità di aumentare i finanziamenti alle industrie è stata ribadita però anche da Mario Draghi.
Nel suo rapporto sulla competitività del mercato europeo letto in anteprima da Politico, l’ex premier propone un più facile accesso ai fondi comunitari per le aziende militari, la rimozione delle barriere burocratiche, più investimenti a lungo termine e la creazione di un modello di governance tra la Commissione europea, il Servizio europeo per l’azione esterna e l’Eda, oltre alla nascita di un’Autorità per l’industria della difesa che controlli gli appalti.
A trarre vantaggio dalla strategia di von der Leyen e dal documento di Draghi saranno quindi le aziende della difesa, in particolare quelle più grandi già presenti nei mercati internazionali e pronte a creare alleanze e joint venture per la produzione congiunta di armamenti. Il rischio dunque è che le risorse comunitarie continuino ad andare a Saab, Thales, Leonardo, Indra, Safran e Airbus, già destinatari della maggior parte dei fondi europei stanziati fino ad ora, come dimostrato dal report Fanning the flames del Transnational Institute.
Ma per Draghi, così come per von der Leyen, i soldi dell’Ue da soli non bastano per finanziare la difesa europea. È necessario anche modificare i criteri Esg - gli indicatori che permettono di analizzare l’attività di un’impresa sotto il profilo ambientale, sociale e di governance - per evitare che le aziende della Difesa siano penalizzate. Eppure, secondo Morningstar, i fondi di investimento che rispettano i criteri ESG hanno più che raddoppiato gli investimenti in difesa dal 2022 ad oggi, passando da 3.2 a 7.7 miliardi.
La lotta al cambiamento climatico, al contrario, ha sempre meno spazio in Europa, tanto che dall’Agenda strategica 2024-29 è sparito ogni riferimento al Green Deal, pilastro ormai quasi del tutto dimenticato dall’Unione in favore di un settore che invece contribuisce al riscaldamento globale.
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