La strada che si apre davanti a Ursula von der Leyen si è fatta stretta. Il suo calcolo teso ad allargare verso destra la coalizione che dovrebbe sostenere il suo secondo mandato da presidente della Commissione europea si sta trasformando sempre più in una scommessa, e il perimetro di chi sta con lei si riduce a vista d’occhio. Von der Leyen è disposta a tutto pur di ottenere il suo secondo mandato, anche a scendere a patti con Ecr.

L’ha fatto capire nei fatti – basta guardare il solido rapporto personale che si è venuto a creare con Giorgia Meloni – e lo ripete in ogni occasione, anche durante l’ultimo dibattito tra Spitzenkandidaten, quando non ha escluso una possibile alleanza con Ecr, il gruppo guidato dalla premier.

Voltarsi verso Meloni rischia però di alienarle altre realtà che finora potevano guardare a lei con simpatia, pur non trattandosi nello specifico di una esponente organica dei loro partiti. Gli ultimi nella lista a prendere le distanze sono stati i Verdi: Therry Reintke, capa del gruppo parlamentare, ha promesso che gli ecologisti non sosterranno von der Leyen qualora decidesse di entrare in una coalizione con Ecr. Una decisione che mette sotto pressione la presidente uscente nella speranza di orientare le sue decisioni dopo il voto, ma che fa correre anche ai Verdi un rischio importante: soprattutto ai tedeschi, infatti, la linea del primo mandato di von der Leyen non è dispiaciuto, pur non avendola sostenuta alla sua elezione.

Scommesse green

La numero uno della Commissione ha portato a casa il Green Deal (per quanto emendato con qualche richiesta imposta proprio dal suo partito), che è stato considerato anche dagli ecologisti come primo passo importante in una transizione ambientale di portata continentale. I Verdi tedeschi ricordano bene anche la linea non troppo morbida nei confronti di Pechino che von der Leyen si è intestata negli ultimi cinque anni.

La mano ferma nei confronti di quello che è sì un partner economico, ma anche un concorrente, è un punto fermo anche per Emmanuel Macron, che non ha perso l’occasione di ribadirlo anche nel suo ultimo discorso di fronte ai giovani europei a Dresda. Prendere le distanze dalla Cina è una priorità soprattutto per gli ecologisti tedeschi, che sono il partito in cui Washington vede concretizzarsi meglio che in ogni altra formazione tedesca le proprie priorità in termini geopolitici: ne è stato prova anche l’impegno dei Verdi per garantire all’Ucraina aiuti militari nonostante le perplessità dei partner di governo, soprattutto la Spd.

I socialdemocratici sono anche coloro che a livello nazionale spingono per intensificare, invece che allentare, i legami commerciali con la Cina: un rafforzamento delle barriere economiche tra Pechino e l’Europa danneggerebbe fortemente l’export tedesco, e per ora solo i Verdi sono disposti a correre questo rischio pur di sganciarsi da quel rapporto.

Vedere dunque il loro scetticismo raccolto almeno a livello europeo, quando in patria non possono raggiungere molto, è un obiettivo importante. Si tratta però in ogni caso di un tema non sufficiente per scendere a patti con l’estrema destra: la cooperazione, dunque, è fuori questione. Ma a von der Leyen non serve nemmeno: in Germania nei sondaggi il partito di governo è accreditato al 12-15 per cento, altrove non va molto meglio.

Mentre soprattutto i traguardi green rischiano di scendere nella lista delle priorità del nuovo esecutivo europeo – Ecr di Meloni ha regolarmente votato contro le iniziative in cui la Commissione von der Leyen ha calato la transizione ecologica – una nuova commissione allargata a destra potrebbe anche mantenere la posizione auspicata dai Verdi nei rapporti con la Cina, su cui i conservatori sono rimasti sempre sospettosi. Ma il veto dei Verdi si sconta con il contro veto della Cdu, poco interessata ad aprire la coalizione agli ecologisti, molto di più a farlo nei confronti di Ecr, soprattutto ultimamente.

Negli scorsi mesi infatti non soltanto von der Leyen ha fatto sua la strategia che fu di Manfred Weber, che aveva iniziato a tessere una tela di accordi che includesse anche la destra estrema, ma è caduto anche l’ultimo argine all’accoglienza dell’onda nera nella destra borghese. Markus Söder, capo della Csu bavarese, è passato dalle prese di distanza da Meloni al mangiare gelati a Roma ospite della premier italiana: il «Non siamo contenti del risultato delle elezioni italiane» di settembre 2022 è diventato «Se si tratta di un buon governo devono deciderlo gli italiani, non i bavaresi».

Divorzio dai socialisti

Scegliere Ecr significa però per von der Leyen alienarsi anche il favore degli ex alleati socialisti. Elly Schlein e gli altri leader del Pse l’avevano già promesso all’ultima manifestazione comune organizzata alla Nuvola lo scorso marzo, ma Scholz ha mostrato anche plasticamente che non sarà al fianco di von der Leyen se la popolare dovesse scegliere di fare cosa comune con Meloni.

Il cancelliere ha celebrato con nuova enfasi l’amicizia franco-tedesca con il suo omologo Macron negli ultimi tre giorni di visita del francese in Germania. I due, che non sono mai andati d’accordo, hanno compreso che dovranno fare buon viso a cattivo gioco se vogliono evitare che l’alleanza tra von der Leyen e Meloni metta il motore franco-tedesco in secondo piano. Il presidente francese, poi, da buon liberale al posto di von der Leyen vedrebbe decisamente più volentieri Mario Draghi. Il cancelliere, che non può sperare di imporre il suo candidato alternativo ma vuole portare a casa capra e cavoli, è soltanto certo di non poter assecondare un’alleanza con l’estrema destra quando in patria nei sondaggi è lontanissimo dalla Cdu e insidiato da AfD.

Molto più della nazionalità di von der Leyen, dunque, a Scholz interessano le intenzioni della presidente uscente. Che a questo deve sperare in un’esplosione della destra tale da compensare ben due forze che avrebbero potuto sostenerla, in altri tempi.

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