Mentre François Bayrou lavora a un governo da presentare sotto l’albero di Natale, intanto neppure la sua nomina – e quindi una piccola certezza – allevia la crisi nella quale la Francia macroniana sprofonda.

Nessuno è salvo: non è salva Parigi, centro decisionale, alle prese in queste ore con una legge speciale per tirare a campare in attesa di un vero bilancio, con addosso le agenzie di rating; Moody’s non si accontenta di un premier appena nominato e declassa il debito francese, segnalando l’orizzonte incerto.

Né tantomeno si salva Mayotte, la più povera e maltrattata di tutte le terre di Francia, periferia non solo geografica – perché arcipelago, «territorio d’oltremare» – ma anche politica a quanto pare. Dai tempi della «operazione Wuambushu» portata avanti con Darmanin ministro dell’Interno e tenuta a lungo segreta, l’arcipelago è diventato il buco nero sul quale precipita il lato più violento e contraddittorio del macronismo, fuori dai riflettori perlopiù.

E neppure l’attuale disastro climatico che lascia a terra una miriade di morti ha scosso il presidente e il premier al punto da consegnare a una terra disastrata la propria presenza e considerazione.

Parigi in cerca di governo

Non è detto che Bayrou annunci il nuovo governo questa settimana – il suo entourage ritiene ottimistico che la squadra sia formata entro Natale – ma nel frattempo sono in corso le consultazioni di tutte le forze rappresentate in parlamento.

Questo lunedì sono stati ricevuti per primi Marine Le Pen e Jordan Bardella. Il Rassemblement National non garantisce supporto – Le Pen si riserva di ricorrere alla sfiducia – ma neppure lo nega temporaneamente: siamo stati «ascoltati», ha detto ieri la leader, che su temi come la riforma del sistema elettorale (in direzione proporzionale) si trova d’accordo con il nuovo premier.

La France insoumise non si limita a rifiutare di dialogare con Bayrou – contestandone la nomina perché non rappresentativa degli equilibri in aula e perché in continuità con il macronismo – ma cerca di stanare i socialisti, che finora hanno detto di restare fuori dal governo ma di voler negoziare un accordo di non sfiducia (Bayrou non scavalca l’aula con il 49.3 e loro non lo costringono a caduta). Chiedendo che il nuovo governo si sottoponga al voto dell’aula (passaggio non indispensabile e al quale infatti Barnier si era sottratto) e minacciando di sostenere la sfiducia in qualunque caso, l’insoumis Manuel Bompard chiede di fatto ai socialisti di venire allo scoperto: o pro o contro, «chi è dentro questo governo è fuori dal nuovo Fronte popolare».

Anche se nella direzione opposta, pure i macroniani strattonano i socialisti: «Non basta l’accordo di non sfiducia, entrino al governo, sennò è troppo facile», ha detto questo lunedì Roland Lescure. E i socialisti che dicono? Che c’è troppo ancora da capire e vedere.

Mayotte e il disastro

Nel frattempo Bayrou non rinuncia all’incarico di sindaco di Pau, e questo lunedì pur di andare a presiedere il Consiglio comunale si è limitato a partecipare solo in video al consiglio interministeriale di crisi su Mayotte. Macron si è presentato: all’incontro a Parigi, non a Mayotte. Domenica, mentre l’arcipelago veniva devastato, era su un’altra isola (in Corsica col papa).

Non esiste ancora un bilancio accertato delle vittime del ciclone Chido, che pare comunque essere stato mortifero; colpisce un territorio che era già il più povero della repubblica francese.

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