Abbiamo incontrato il sociologo nell’istituto Mathias Corvinus Collegium da lui diretto a Bruxelles. Si tratta di una macchina di soft power orbaniana, ed è la modalità con cui il premier evita l’isolamento: «Bisognava reagire in fretta». Così il despota che ha ispirato Meloni ha lanciato la sua offensiva
«È una vergogna che Giorgia Meloni abbia sabotato l’alleanza tra sovranisti e conservatori in Ue». E ancora: «Abbiamo aiutato noi i gruppi di agricoltori dei vari paesi europei a fare rete tra loro per protestare». Il fatto che abbiano messo a ferro e fuoco Bruxelles è un problema? «Rispondo a titolo personale: per me no».
Frank Füredi non ha paura di andare allo scontro; anzi si può dire che sia il suo mestiere. La «guerra culturale» è una delle sue locuzioni più usate. Una volta era «un esponente della old left, la sinistra vecchio stampo». Ora – a parte la mise in velluto sbiadito stile anni Sessanta – il sociologo ha cambiato giacca. Veste quella di Viktor Orbán per dirigere l’avamposto brussellese dell’istituto Mathias Corvinus Collegium (Mcc), una macchina di soft power orbaniana.
Nel 2022, dopo l’uscita dai popolari europei e l’isolamento in Ue, il premier voleva «occupare Bruxelles» (ed è il suo slogan per le europee): il suo entourage ha preso parte all’operazione di acquisizione di Euronews, come ha rivelato un’inchiesta la scorsa settimana. E sempre nel 2022 il Mcc si è espanso nella capitale Ue per allargare l’influenza sua e del premier.
Ceci n’est pas un think tank. Questo non è un pensatoio puro; è un luogo di pratica politica. Qui si costruiscono narrazioni (e alibi per le derive autocratiche), si stabiliscono connessioni (e alleanze politiche con la destra italiana), si esercitano pressioni (per strattonare nel modo più profittevole l’Ue).
Il Mcc, con altre organizzazioni d’area, è sponsor della conferenza National Conservatism che si tiene il 16 e 17 aprile a Bruxelles e che porta sul palco assieme al premier ungherese sovranisti vecchi e nuovi. C’è pure il meloniano Nicola Procaccini, capogruppo dei Conservatori. La rete si vede nel momento del bisogno, e per Orbán questa rete è la leva con la quale evitare l’isolamento in Ue.
Prendersi Bruxelles
In rue aux Laines 70, a due passi dalla ricca place du Grand Sablon di Bruxelles, c’è un edificio elegante ma senza una particolare identità; da fuori può essere scambiato per un hotel di lusso e da dentro per uno spazio di coworking. Invece al primo piano si è insediato il Mcc. «Prima eravamo un paio, ora 27 persone», dice Füredi.
Come istituzione educativa privata Mcc esiste da decenni, ma Orbán l’ha trasformata. A Budapest oggi è un luogo di connessioni politiche. Nell’estate 2021, mentre Fidesz, rimasto senza famiglia politica in Ue, sognava con Matteo Salvini l’unione delle destre, Francesco Giubilei – fondatore di Nazione futura e animatore di relazioni tra meloniani e orbaniani – se ne stava al Mcc Budapest come visiting fellow.
Il Mcc si è esteso nelle zone rurali d’Ungheria, e nel 2022 pure i confini nazionali sono risultati stretti. Füredi, che è di origine ungherese – «me ne sono andato a 9 anni» – e che all’epoca faceva vita da accademico in Gran Bretagna, la racconta così: «Ero tornato a Budapest per una conferenza, mi sono fermato al pub e lì ho incontrato Balázs Orbán».
L’omonimo del premier non è solo il suo capo di gabinetto, ma pure una sorta di ambasciatore della sua propaganda: ha un ruolo apicale in Mcc, passa spesso da Roma agli eventi organizzati dai think tank di area meloniana e il suo ultimo libro La sfida ungherese. Una strategia vincente per l’Europa è stato tradotto dalla casa editrice di Giubilei, Historica edizioni.
«Ho detto a Balázs – ricorda Füredi – che per l’Ungheria sarebbe stato molto importante avere qualcuno a Bruxelles che potesse reagire immediatamente agli attacchi, e compattare il fronte. Lui mi ha chiesto: tu lo faresti? Nel giro di un paio di mesi ero riunito con moglie e figlio per discutere la cosa: desideravo già lasciare la vita di prima». La vita di prima, come sociologo britannico, non era priva di riconoscimenti. Basti pensare che in Italia i testi di Füredi sono pubblicati da case editrici note come Feltrinelli.
È una cifra della strategia orbaniana: pure il direttore del Danube Institute, John O’Sullivan, vanta una vita precedente come consigliere di Margaret Thatcher. Il despota ungherese individua profili con una patina di rispettabilità e un ventaglio di relazioni.
La potenza è nel simbolo
Da quando ha perso il rapporto con Angela Merkel e si è ritrovato senza gruppo politico in Ue, Orbán ha due ambizioni: una è entrare nei Conservatori meloniani, riavvicinandosi così al centro del potere, Ppe compreso. L’altra è «sfruttare l’egemonia culturale gramsciana», dice Füredi.
Può sembrare paradossale, ma proprio il premier ungherese – tutt’altro che di sinistra, e nemico dichiarato dell’Ue – punta a modo suo sulla internazionale delle destre e sull’unione di forze internazionale. «Noi di Mcc Bruxelles abbiamo avuto qui gli agricoltori, anche italiani, per favorire le connessioni tra loro», dice Füredi, che non ne rinnega le derive violente.
Racconta che ha «una casa vacanze sul lago di Como». Tra i contatti preferiti in Italia «c’è Diego Fusaro». Lamenta «la carenza di intellettuali». Sostiene che per il Mcc piantar bandiera a Roma sia solo «una bella idea». Di concreto c’è un mondo orbaniano che si affanna a proiettarsi sul piano internazionale come icona.
E a trasformare Budapest in una sorta di isola felice per intellettuali destrorsi: qui si è trasferito Rod Dreher, che era una voce dell’American Conservative; qui fanno tappa figure note in Usa come John J. Mearsheimer, politologo divenuto controverso per le sue posizioni sulla guerra, e il conduttore tv Tucker Carlson.
I think tank orbaniani – e il Mcc in primis – ricevono dal governo assegni miliardari. Alla domanda sui finanziamenti orbaniani a Mcc Bruxelles, Füredi se la cava dicendo che «a noi i fondi arrivano da Mcc Budapest»; il quale beneficia, di fondi governativi. Tra le analisi prodotte dal professore di recente, ve n’è una intitolata: L’uso della rule of law come arma e l’attacco al diritto di veto. Orbán non avrebbe saputo dirlo meglio.
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