La Russia è in grado di poter sparare in Ucraina 10.000 colpi al giorno, di costruire 140 carri armati e 500 veicoli corazzati al mese e ha organizzato una produzione di artiglieria che non chiude mai, con tre turni di lavoro da 8 ore al giorno. Per dirla con le parole del generale Usa Christopher Cavoli – che è al comando dei tutte le forze Usa in Europa – «è più del triplo di quanto gli Stati Uniti stimavano all’inizio della guerra e sono più munizioni di tutti i 32 paesi della Nato messi insieme», parlando di 3 milioni di colpi di artiglieria e razzi prodotti in un anno.

A luglio il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che «sappiamo che c’è stato un incredibile riarmo in Russia, con armi che minacciano il territorio europeo», commentando un accordo storico siglato a Washington durante il summit con gli alleati Nato. Accordo che autorizza – di fatto per la prima volta dalla fine della Guerra fredda – a schierare in Germania nel giro di due anni missili Cruise a lungo raggio, puntati verso Mosca e Kaliningrad. Rispettivamente a 1.600 chilometri e a poco meno di 600 chilometri da Berlino.

Una distanza che i Tomahawk statunitensi possono coprire, mentre i Taurus tedeschi non con certezza. A preoccupare il cancelliere tedesco e il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ci sono altri numeri. La Germania ha presentato a fine 2023 le nuove linee guida del suo apparato militare, ha un esercito di 184mila militari in servizio – il quarto della Nato – ed è il primo paese per aiuti militari a Kiev dopo gli Stati Uniti.

Ma ha una politica di riarmo che in caso di escalation del conflitto non può – a questi ritmi – reggere un confronto con Mosca. Sostanzialmente, potrebbe essere pronta per una guerra con la Russia tra dieci anni. Per alcuni tipi di arma, per tornare ai livelli di venti anni fa, ce ne vorrebbero quasi 100. C’entrano in parte le forniture a Kiev, ma è la lunga scia di politiche di disarmo implementate con la fine della Guerra fredda – il cosiddetto beneficio da peace dividend promosso da George Bush e da Margaret Thatcher – e che hanno subito un’inversione parziale con l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina.

«Considerando la velocità degli ordini degli ultimi due anni e mezzo, ci vorrebbero più di 10 anni perché la Germania raggiunga il numero di aerei da combattimento che aveva nel 2004 e oltre 40 anni per i carri armati principali. In modo ancor più sorprendente, i livelli di obici del 2004 verrebbero raggiunti solo dopo 100 anni», si legge nell’ultimo report appena pubblicato dal Kiel Institute e che mette nero su bianco tutte le criticità in materia di tempi e costi di produzione per armi e armamenti, al di là dei proclami e della retorica politica. Se la Germania venti anni fa disponeva di 423 aerei da combattimento, nel 2021 ne aveva 226. Negli ultimi due anni e mezzo ne ha ordinati una media di 14 all’anno. Questo vuol dire che arriverebbe alle scorte del 2024 tra 14 anni.

Kalashnikov economy

I carri armati vent’anni fa erano 2.398, nel 2021 erano 339. E con la velocità degli ordini attuali – 50 all’anno – si tornerebbe ad avere lo stesso numero di carri armati nel 2066. Il dato più eclatante è quello dell’artiglieria. Gli obici sono 121. A questa velocità di riarmo, tornerebbero alle scorte del 2004 soltanto nel 2121. E c’è il dato della produzione in rapporto ai ritmi incessanti della Russia. Mosca impiegherebbe 2 mesi e mezzo per produrre tutti i carri armati tedeschi nel 2021, e 3 mesi per le scorte degli obici. Potendo far leva su una “Kalashnikov economy”, così come l’ha definita l’analista del Rusi di Londra Richard Connolly. Una economia di guerra «poco sofisticata ma resistente», concepita per un uso su larga scala e per essere impiegata nei conflitti.

«Il ministro della Difesa tedesco e i più alti rappresentanti militari in Germania ritengono che la Russia possa attaccare l’Europa o un alleato della Nato nei prossimi 5-8 anni. E ciò che i nostri numeri mostrano è che non siamo sufficientemente equipaggiati per fornire una deterrenza adeguata», ha raccontato a Domani in un’intervista Guntram Wolff, ricercatore al Kiel Institute e prima firma del report.

Un documento di 93 pagine che evidenzia punto per punto i limiti di politiche pensate su una percezione errata della durata del conflitto in Ucraina. «Nel 2023, l’ipotesi era chiaramente che sarebbe stato un confronto militare di breve durata. Quindi c’erano fondi previsti per il bilancio a breve termine, ma praticamente nulla per il medio termine», racconta il professor Wolff. E aggiunge come «solo nel 2024 ci sia stata una sorta di riorientamento della strategia di bilancio, con un po’ più di attenzione al medio termine». Tirando le somme, il suo giudizio è abbastanza netto. «Sostanzialmente abbiamo perso un anno e mezzo».

Il tema si lega anche al settore industriale, che per garantire velocità di produzione – assunzioni e investimenti – ha bisogno di impegni di bilancio a lungo termine. Impegni decennali. Negli ultimi mesi sono stati fatti degli annunci – come l’investimento fino al 2 per cento del Pil in spesa militare come da richieste Nato – ma il professore Wolff sostiene che «la credibilità del lungo periodo non è ancora raggiunta». Su alcuni settori, gli sforzi resi necessari per garantire il sostegno a Kiev hanno registrato un incremento deciso. «Ad esempio, per i proiettili d’artiglieria, l’aumento è di un ordine di grandezza pari a dieci volte. La Germania produceva qualcosa come 70.000 proiettili all’anno, ora ne produce 700.000 all’anno», racconta Wolff. Ma è una produzione limitata all’artiglieria che quotidianamente viene chiesta dall’Ucraina. Sui sistemi d’arma, conferma il professore, «non vediamo ancora aumenti di tale entità».

La questione è di fondamentale importanza se si considera che il dibattito politico da Washington a Bruxelles è concentrato sull’autorizzare o meno Kiev nell’utilizzo di armi a lungo raggio per colpire la Russia, ma gli analisti del think tank tedesco pongono l’attenzione su un altro scenario, altrettanto imminente. Tra due mesi ci sarà un nuovo presidente negli Stati Uniti, ed è una variabile che avrà effetti, sia Harris o Trump ad alzare la cornetta dello Studio Ovale.

«Il punto che abbiamo cercato di sottolineare nel rapporto è che, in entrambi gli scenari politici, l’impegno degli Stati Uniti verso l’Europa tenderà a diminuire. Prima di tutto perché ci sono altre minacce in teatri alternativi in cui gli Stati Uniti sono attivi, come l’Indo-Pacifico e il Medio Oriente, ma anche molto semplicemente perché le capacità dell’industria bellica statunitense sono attualmente insufficienti per fornire a tutti gli alleati le armi necessarie», spiega il professor Wolff. «Per alcuni sistemi d’arma, come gli Himars, ad esempio, la domanda è estremamente elevata e continuerà a esserlo, in particolare in caso di conflitto nell’Indo-Pacifico. Quindi, sì, è molto importante che sviluppiamo le capacità industriali in Europa per poter sostenere l’Ucraina in misura maggiore».

Gli ordini dei missili

Ma nel report si evidenzia come non ci sia traccia al momento di ordini di sistemi Mlrs, che sono considerati simili agli Himars. I 12 obici ordinati a maggio del 2023 hanno tempi di consegna previsti per il 2026. La Russia intanto ne produce 40 al mese. Il punto è stato sollevato a fine maggio anche dal ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski, che rappresenta un Paese che si è impegnato a garantire il 4 per cento del proprio Pil speso in Difesa.

«L’Europa non solo si è disarmata, ma si è deindustrializzata nel settore della difesa», ha detto Sikorski, parlando della necessità di un cambio di passo industriale, con piani decennali. Durante gli anni del peace dividend l’Europa si è concentrata su armi ad alto valore e alta tecnologia, dice Sirkoski. «Solo ora stiamo riscoprendo che, in realtà, hai semplicemente bisogno di milioni di proiettili», sostiene, e che per produrli bisogna garantire alle aziende un chiaro intento politico.

Nel documento elaborato dal Kiel Institute ci sono una serie di priorità indicate all’attenzione delle cancellerie europee. «Abbiamo bisogno di budget credibili a lungo termine», è il punto che Wolff indica come il più strategico. «Il secondo punto è una strategia credibile di armamenti europea. Quindi si tratta di aumentare la produzione europea, ma anche di eliminare la frammentazione che abbiamo in Europa», racconta durante l’intervista a Domani. «Penso che la visione istintiva di molti politici europei sia che, se qualcosa dovesse davvero degenerare, possiamo ancora fondamentalmente rilassarci perché abbiamo gli americani sul terreno», continua.

«Perché in fondo crediamo che gli Stati Uniti interverrebbero. E penso che sia qualcosa che dobbiamo mettere in discussione. Perché gli Stati Uniti dovranno affrontare molte richieste per garantire la sicurezza anche altrove. Quindi dobbiamo davvero organizzarci». Non per fare la guerra alla Russia, ma per prevenirla. Per evitare che ci sia «una guerra più ampia», precisa il professor Wolff.

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