«La situazione delle borse internazionali è drammatica e rischia di peggiorare ancora». Tradotto: sulle trattative per la formazione di un nuovo governo a Berlino bisogna accelerare, parola di Friedrich Merz, probabile prossimo cancelliere.

La borsa di Francoforte è uscita malconcia dai due giorni di contrattazioni seguiti all'annuncio di Donald Trump sulla sua politica di barriere commerciali: le raccomandazioni di fare presto arrivano da ogni parte dell’economia e dagli enti locali.

L’ultima a chiedere che si chiuda a breve il contratto di coalizione che darà vita alla nuova grande coalizione è stata l’associazione dei comuni, che ha incoraggiato la Spd a non fossilizzarsi intorno ai dettagli. Portare a casa un accordo di massima, è il ragionamento, è meglio che rimanere in un limbo senza guida in un periodo di tempesta economica come questa. 

Effettivamente, questa settimana dovrebbe essere quella decisiva per la conclusione dei negoziati tra socialdemocratici e cristianodemocratici: prima del weekend ci si aspetta un allineamento che permetta di rispettare la tabella di marcia che si era dato Merz quando aveva previsto di chiudere i lavori entro Pasqua.

C’è fiducia, ma negli ultimi giorni c’è anche stato stallo: per il futuro cancelliere ora «è più necessario che mai che la Germania recuperi la propria competitività internazionale». La ricetta è quella solita della destra: taglio delle tasse, riduzione della burocrazia, abbassamento delle spese energetiche e stabilizzazione dei costi del welfare. Vaste programme, nonostante i fondi speciali che Merz si è fatto approvare dal vecchio Bundestag per difesa e infrastrutture. 

Pressioni

Ma mentre i socialdemocratici spingono per mantenere vivo e vegeto il diritto d’asilo come viene menzionato in Costituzione e ricordano che, finora, i programmi di rimpatrio di migranti con return hub in stati terzi (simili ai centri italiani in Albania, anche se le ambizioni della Cdu vanno oltre) non hanno funzionato, il leader della Cdu sa bene che ha bisogno di portare a casa qualche successo nelle trattative.

Pur avendo vinto le elezioni con un dignitoso 29 per cento, ora deve lavorare con il fiato sul collo: a stargli addosso da destra – «Wir werden sie jagen» aveva promesso Alice Weidel la sera delle elezioni, «daremo loro la caccia» – è innanzitutto AfD, che in un sondaggio pubblicato nel weekend dalla Bild ha raggiunto il partito di Merz al 24 per cento dei consensi. Anche secondo altri istituti la distanza tra i due partiti si è ridotta, principalmente per la decisione dei vertici di rompere con la tradizione di austerità fiscale, vissuto come un tradimento della loro fiducia da parte degli elettori di centrodestra. 

Ma anche la Junge Union, l’organizzazione giovanile dei cristianodemocratici, ha minacciato di non approvare il contratto di coalizione che sarà sottoposto agli iscritti, qualora non rifletta un cambio di linea, un Politikwechsel, come lo ritiene necessario il corpaccione del partito.

Dopo aver espresso il proprio disappunto per la soluzione creativa per l’approvazione dei fondi speciali, condivisa solo all’ultimo con il gruppo parlamentare, diversi deputati iniziano a dubitare che Merz sia l’uomo giusto per imprimere una direzione di destra liberale alla Germania in linea con le promesse elettorali. 

Per altro, resta il grande interrogativo di quale possa essere la linea di Berlino nella disputa dei dazi. Merz nasce politicamente come il più ortodosso degli atlantisti, ma lui stesso aveva confidato immediatamente dopo le elezioni la consapevolezza della necessità di emanciparsi da Washington.

A dettare una linea dura dal Consiglio Ue sul commercio di ieri il ministro dell’Economia uscente Robert Habeck, che nei giorni scorsi ha anche fatto un passo indietro lasciando il vertice dei suoi Verdi, in genere piuttosto allineati con Washington: «L’Europa non si lascerà dividere adesso. I paesi non dovrebbero cercare di negoziare i vantaggi per se stessi, perché questo non gioverebbe a nulla, chi ci ha provato in passato non è stato risparmiati: la forza nasce dall'Unione». A buon intenditor, poche parole, sempre che si faccia sentire anche Merz, a un certo punto.

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