Un patto tra Ucraina e Stati Uniti è praticamente pronto, ma l’impegno di Washington per la deterrenza anti Putin non c’è. E mentre le squadre statunitense e ucraina finalizzavano l’accordo con il quale Zelensky – preso a strattoni da Trump – acconsentiva al saccheggio del paese cercando di limitarne la portata, i leader francesi e britannici si davano il cambio nei negoziati con la Casa Bianca, con gli altri europei a ruota: questo martedì una videochiamata di coordinamento, domenica un incontro a Londra. Dopo Macron, giovedì da Trump approda Starmer, e a sentire i suoi annunci – prima sulle truppe, poi sugli aumenti della difesa – sarà il «poliziotto buono».

Persuasioni e effusioni

Resta da capire se davvero Macron sia stato un «poliziotto cattivo»: a parte una interruzione a effetto, il presidente francese è parso blandire Trump per persuaderlo.

Negli stessi frangenti in cui gli Stati Uniti passavano dal lato della Russia nel voto alle Nazioni Unite, i fotografi immortalavano le esibizioni di affinità tra Macron e Trump alla Casa Bianca (mani macroniane su mani trumpiane, toccate americane di ginocchia francesi...). «Questo è un bromance», ha commentato Fox News raccogliendo gli scatti più disinibiti. E se è vero che questo canale è noto per le versioni squilibrate pro Trump, è politicamente degno di nota che Macron abbia rilasciato proprio a Fox la sua intervista americana.

«Amici»: così Trump e Macron si definiscono. Sì, ma allora dove è andata a finire quella storia (francese) dell’autonomia strategica, quello slancio dichiarato (dal futuro cancelliere tedesco) per l’emancipazione dagli Usa? Nelle trattative, pare: il «poliziotto francese» sostiene che i suoi sforzi si siano concentrati sull’obiettivo di avere un ombrello americano nel caso Putin non rispetti un futuro accordo.

L’unico a dichiarare di aver raggiunto questo obiettivo è Macron stesso: Trump è stato elusivo, la Casa Bianca poi ha chiarito che nella bozza di accordo con l’Ucraina questa clausola di impegno non risulta; il che pare confermato nell’ultima versione del testo. Dopo le enormi pressioni di Washington e i passaggi con gli europei, Kiev resta insomma aggrappata per ora solo a una speranza.

Backstop, accordi, risorse

A Riad, quando Russia e Stati Uniti riavviano la loro relazione in nome di «opportunità» e «affari», l’attacco frontale a Zelensky si intensifica: lui cancella il suo viaggio, fonti europee riferiscono di un piano per andare a elezioni dopo il cessate il fuoco, Fox News riporta l’intenzione putiniana di rimpiazzare il presidente con un burattino (magari formalmente eletto).

Poco dopo, l’assalto arriva da Trump stesso, che non si limita a dare del «dittatore» al leader ucraino, ma scrive una frase volutamente ambigua: «Zelensky better move fast or he is not going to have a country left». Si sbrighi o non gli resterà un paese (l’Ucraina sarà distrutta), ma volendo pure: se ne vada o nessuno più gli darà asilo. Due le interpretazioni, alternative o vere entrambe: Trump si sta allineando ai voleri di Putin; Trump sta facendo pressione perché Zelensky accetti l’accordo sulle risorse.

Durante il weekend il presidente ucraino dichiara: si dimetterà se ciò garantirà la pace o l’ingresso della Nato. C’è chi la intende come una provocazione, ma va letta tra le righe: Zelensky sta trattando non per l’entrata di Kiev nella Nato, ma per le garanzie di sicurezza. Persino più degli europei stessi, è lui che con più insistenza dice da settimane che gli Usa non possono lasciare gli europei da soli nel preservare l’integrità dei futuri accordi.

Sicurezza che non c’è

Su questo punto trattano i «poliziotti» alla Casa Bianca, mentre in parallelo le squadre negoziali ucraina e statunitense negoziano sulla bozza dell'accordo sulle risorse. Come era emerso e come Macron ha detto a Washington, alcuni paesi europei (in primis Parigi e Londra) si sono già resi disponibili a inviare forze in Ucraina per segnalare un supporto: non combattere, bensì preservare la pace. «Possibile solo sotto bandiera Onu», stando ad Antonio Tajani.

Gli europei hanno digerito l’idea di essere lì senza gli americani, ma chiedono – ed è Macron a ribadirlo – il «backstop» degli Usa. Significa che se Putin tornasse all’attacco, dovrebbe essere consapevole che c’è anche Washington a presidiare gli accordi. Macron è andato a pietire a Trump la minima decenza: la deterrenza. Sostiene di averla ottenuta.

Di lui Trump dice che «come cliente è brillante», raccontando che in passato Macron avrebbe usato il francese per raccontare un accordo in tutt’altro modo. I cronisti hanno cercato da Trump conferme sulla disponibilità degli Usa a venire in soccorso di Kiev; lui elusivamente ha risposto che «fatto un accordo, non ce n’è bisogno». La Casa Bianca ha poi chiarito che «l’accordo economico con Kiev non costituisce alcuna garanzia di aiuti futuri in guerra, né comprende alcun impegno di personale Usa nell’area».

Nell’incontro tra Trump e Zelensky sarà ufficializzata la stretta di mano, ma per quanto le bozze si evolvano, in tutte Washington pretende di mettere le mani su risorse strategiche, minerali, energia, imprese statali. Da tempo l’Ue ha un memorandum sulle terre rare con Kiev e lavorava sulla ricostruzione.

Von der Leyen sostiene che pure prima del 2030 l’Ucraina sarà membro Ue. Al momento pare significhi prendere nello spazio comune un paese che arriverà mangiato per un pezzo (territori) da Putin e un gran pezzo (economia) da Trump, con sul territorio truppe anche non europee (se tra i peacekeeper ci saranno turchi ad esempio) e la sicurezza in carico a noi. Se questo è un bromance, il finale somiglierà a un tradimento.

© Riproduzione riservata