Per ben due volte Emmanuel Macron ha vinto le presidenziali presentandosi come l’unico argine all’estrema destra. Ora, travolto dalla sconfitta di domenica alle europee, il presidente della Repubblica francese rischia di consegnare il governo del paese al Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen e del suo delfino Jordan Bardella.
Convocando elezioni legislative in tempi brevissimi, oltretutto mentre è al minimo della popolarità, tra un mese Macron potrebbe ritrovarsi con un parlamento ben più ostile di quello attuale. A meno che destra e sinistra non implodano come nel 2017, premiando il terzo litigante. Può succedere ancora?
Se in Francia il meccanismo dei due turni attutisce il peso degli estremi, di elezione in elezione il paese vira sempre più a destra. Il Grand Continent ha pubblicato la mappa del voto scorporato per aree e si vede un paese monocolore: il Rn si è preso 92 dipartimenti su 96, tutto tranne Parigi e dintorni. Insomma non c’era momento peggiore per sciogliere le camere. Come si spiega allora questo improvviso desiderio di democrazia? La crisi politica che si è aperta domenica – con il partito di governo fermo al 15 per cento e quello di opposizione al 31 per cento – doveva essere affrontata, ma la dissoluzione delle camere non era una scelta obbligata. Anzi, si tratta di una misura rarissima nella storia della Quinta Repubblica, presa sia da De Gaulle che da Chirac in momenti difficili.
Per dare discontinuità, a Macron sarebbe bastato un rimpasto o la ricerca di una nuova coalizione parlamentare, come ha fatto notare la presidente dell’Assemblea nazionale, Yaël Braun-Pivet. Ma questo avrebbe ulteriormente indebolito il partito. Se cedimento ci dovrà essere, è bene che sia ratificato da una causa di forza maggiore; in questo caso, una netta vittoria elettorale del Rassemblement National.
Proprio quella che il presidente della Repubblica gli sta offrendo su un piatto d’argento. «Mossa di poker», è stato il commento più gentile della stampa francese. Altri hanno definito Macron «apprendista stregone» o «pompiere piromane», che rischia di mettere a fuoco la Francia (Le Monde). Il candidato europeo del Partito socialista, Raphaël Glucksman, si è detto disgustato dalla decisione di Macron. La sinistra si è subito messa al lavoro su un programma comune, invocando il vecchio Fronte popolare degli anni Trenta; ma sarà difficile superare le divisioni, in particolare su temi caldi come Ucraina e Palestina.
Il peso complessivo di tutte le forze progressiste, dai socialdemocratici ai comunisti, al momento è attorno al 30 per cento, contro il 45 per cento del fronte di destra ed estrema destra. L’esito delle urne sembra già scritto. Gli osservatori si interrogano sul calcolo politico di Emmanuel Macron, esaminando i precedenti storici di “coabitazione” tra presidenti della Repubblica e premier di partiti rivali. In taluni casi, è servito a bruciare potenziali leader. In altri, ha tirato loro la volata.
Ma è davvero plausibile che Macron stia regalando il governo a Bardella nella speranza di smascherare il bluff dell’estrema destra davanti ai francesi, «logorare i sovranisti col potere», come si è letto sulla stampa? Se il piano A resta la vittoria, facendo leva sulle divisioni degli avversari, il presidente potrebbe anche accontentarsi di una sconfitta, puntando sulla normalizzazione degli antisistema, esattamente come avvenuto in Italia prima con il Movimento 5 stelle e poi con Giorgia Meloni. Se così fosse, il coronamento di Bardella da parte di Macron potrebbe acquisire tutt’altro significato: il tentativo di intestarsi una nuova fase politica, nella quale il populismo di destra viene messo al servizio della dialettica della modernizzazione.
Una spartizione del potere, insomma. Macron doveva essere l’argine alla destra e ora potrebbe diventarne il trampolino. Il leader nemmeno cinquantenne si è sempre considerato come l’erede dei grandi sovrani di Francia. Speriamo solo che il parallelo storico più calzante non sia quello con Luigi XVI, che convocando gli Stati Generali nel 1789 mise in moto un meccanismo che presto gli sfuggì di mano. Anche Macron, domenica 9 giugno 2024, ha convocato i suoi Stati Generali. Finirà ghigliottinato?
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