A Kherson non si scende più in piazza con le bandiere gialle e blu, ma i colori dell’Ucraina si dipingono sui muri. Il tryzub giallo, lo stemma del paese, si incide sugli alberi. Si stampano volantini, si scrive sull’asfalto delle strade della città occupata dai russi: “L’esercito dell’Ucraina è vicino”, “Kherson è Ucraina”, “Orchi, conosciamo tutti i vostri crimini”. Gli autori di questi messaggi vengono chiamati, nelle chat Telegram e Viber, i “partigiani di Kherson”. Il loro movimento silenzioso ha sostituito il grido dei manifestanti, soffocato dai militari russi che, dopo le prime settimane, hanno iniziato a rispondere alle proteste con la violenza.

Di notte, a volte, sugli edifici della città, qualche partigiano sostituisce le bandiere russe con quelle dell’Ucraina. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la stazione centrale dove per qualche ora sono tornati a sventolare i colori ucraini, sostituiti poi dalla bandiera russa. Altre volte, poi, il silenzio viene rotto dall’inno dell’Ucraina, che qualcuno fa suonare per le strade per qualche istante, prima dell’arrivo dei soldati russi che presidiano la città.

Scomparsi

Chi viene colto in atteggiamenti ostili contro i russi sparisce. «Secondo le nostre informazioni gli occupanti usano gli scantinati di alcuni edifici della città come celle di isolamento dove vengono attuati interrogatori e torture», dice il consigliere regionale Yurij Sabolevskij a Nastojaščee Vremja. «Lì dentro si può finire per una foto trovata nei cellulari, che può essere lo scatto di una manifestazione pro Ucraina o la foto dell’Sbu (il Servizio di sicurezza dell’Ucraina, ndr). O anche solo per un messaggio, per esempio se leggono una frase in cui vengono chiamati orchi», continua il consigliere regionale.

Da settimane da Kherson arrivano nelle chat notizie di sparizioni. I familiari mandano spesso foto di figli, mariti, fratelli, scrivendo “Aiutateci a trovarlo” con la data e l’orario della scomparsa.

Corsi di denazificazione

«Conosciamo la posizione di alcune di queste prigioni, ma nessuno sa cosa succeda lì dentro con certezza, tranne chi finisce lì», dice Sabolevskij. Secondo le ultime ricostruzioni, chi entra in questi scantinati passa, per dirla con le parole degli occupanti russi, “un corso di denazificazione”. Così racconta Ekaterina Kolomiez che in un video diffuso dal quotidiano locale Kherson.live si scusa davanti alla videocamera per «aver usato un linguaggio improprio contro i militari russi chiamandoli orchi».

«Ho passato il corso di denazificazione e riconosco la mia colpa. Mi scuso davanti ai cittadini russi e ai militari russi. E invito a scusarsi anche mio marito Kolomiez Denis che in uno scambio di messaggi ha augurato la morte ai militari russi», dice la donna di 30 anni. Nel video spiega di abitare a Kherson. Secondo il deputato ucraino Serhii Khlan “i corsi di denazificazione” equivalgono a “torture”. «Interrogano e torturano chiunque mostri atteggiamenti a favore dell’Ucraina», dice a The Insider.

Verso l’annessione

Insieme alla repressione, gli occupanti russi stanno portando avanti una riorganizzazione amministrativa, iniziata a fine aprile con il cambio dei vertici cittadini e regionali. Non è ancora chiaro il destino di Kherson tra voci di referendum di indipendenza dall’Ucraina e quelle di un’annessione alla Crimea o direttamente alla Russia. Il nuovo governatore scelto dai russi, Volodymyr Saldo, ha parlato di “integrazione nella Russia”. Il suo vice, Kirill Stremousov, ha aggiunto che presto gli abitanti di Kherson potranno chiedere la cittadinanza russa.

Come verrà portata avanti questa “integrazione” non è stato reso noto. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov aveva detto che il futuro della regione sarebbe dipeso «dalla volontà degli abitanti». In una recente visita in regione, il vicepresidente del Cremlino, Marat Chusnullin, ha dichiarato che «la regione di Kherson occuperà una posizione dignitosa nella nostra famiglia russa».

Il ricatto della fame

Dal primo maggio nella regione ha iniziato a circolare il rublo. Secondo le parole di Stremousov il passaggio dalla grivnia ucraina al rublo russo richiederà quattro mesi. Al momento sembrerebbe che la moneta russa sia utilizzata solamente nei negozi alimentari in cui hanno cominciato a vendere prodotti provenienti dalla Crimea.

Fin dai primi giorni di occupazione, parte della strategia russa è stato il “ricatto alimentare”. Dal 24 febbraio nella regione non sono più arrivati rifornimenti, non sono stati permessi corridoi umanitari, e i camion con gli aiuti che hanno provato a raggiungere Kherson sono stati rimandati indietro. Mentre si svuotavano farmacie e supermercati, i soldati russi distribuivano buste con aiuti umanitari provenienti da Mosca, che, piano piano, sempre più persone, impoverite dalla mancanza di lavoro e affamate, hanno iniziato ad accettare.

Molte catene di supermercati ucraini hanno chiuso dopo aver finito le scorte. Le loro insegne sono state sostituite da quelle di aziende della Crimea che stanno aprendo al loro posto. «Ci sono molti prodotti provenienti dalla Crimea in città», spiega una delle poche volontarie rimaste attive a Kherson. «Alcuni, per principio, non comprano i prodotti provenienti da Sebastopoli, altri sono costretti a farlo, in assenza di altro. Ma in generale i prezzi sono triplicati e le persone hanno sempre meno soldi, perché in tanti hanno perso il lavoro dopo l’inizio del conflitto, quindi non si possono permettere di comprare nessun tipo di prodotto».

«A noi volontari ci arrivano sempre più richieste, ogni giorno portiamo aiuti a centinaia di famiglie, ma anche per noi è sempre più difficile perché la popolazione si impoverisce e di conseguenza diminuiscono le donazioni con cui facciamo la spesa per chi ha bisogno», dice la volontaria.

Una fuga impossibile

Attorno alla città continua la controffensiva ucraina per riprendersi la regione. Nelle chat dei quartieri di Kherson, si alternano messaggi in cui si parla dei bombardamenti in periferia a quelli in cui si segnalano nuovi posti di blocco.

Secondo il capo dell’amministrazione statale della regione di Kherson, Genadij Latuga, circa il 45 per cento degli abitanti ha lasciato la regione da inizio marzo. Da qualche settimana andare via dalla città è diventato quasi impossibile: i posti di blocco sono aumentati e diventati molto rigidi. Ma le persone continuano a provare a lasciare il territorio sotto occupazione. La commissaria del parlamento ucraino per i diritti umani, Lyudmyla Denisova, parla di «migliaia di persone, tra donne, bambini e anziani, fermi in fila da giorni alle porte di Kherson nel tentativo di raggiungere i territori sotto controllo ucraino». Le parole sono confermate da alcune immagini di tantissime auto ferme in fila diffuse dal giornalista di Kherson Konstantin Ryzhenko. Il 17 maggio i soldati russi hanno aperto il fuoco su alcune auto incolonnate da tre giorni. Si parla di tre morti e sei feriti.

 

© Riproduzione riservata