Una domenica tira l’altra, o almeno così spera Matteo Salvini. Dopo che i suoi alleati postnazisti austriaci di FPÖ hanno raggiunto il podio di primo partito anche alle elezioni nazionali, oltre che alle europee, il leader della Lega spera più che mai nell’effetto di trascinamento: trascinare cioè FPÖ a Pontida questa prima domenica di ottobre, assieme a Viktor Orbán e Geert Wilders, e godere un po’ del successo altrui, in una fase in cui la propria stella elettorale è a dir poco fioca.

Certo, i recenti successi dei Patrioti per l’Europa non vanno ignorati – pure Andrej Babiš, noto come “il Berlusconi ceco”, a settembre ha avuto un paio di rivalse alle urne – e col tempo si capisce anche perché Marine Le Pen e Matteo Salvini abbiano concesso quest’estate a Orbán l’onore di mettere a battesimo lui i Patrioti. L’Ungheria presta schemi di propaganda, come mostra il trionfo dell’austriaco Herbert Kickl; e come faceva Mosca, presta pure soldi, prima a Le Pen stessa, poi a Vox, che infatti si è trasferito nei Patrioti.

Ma replicare il copione illiberale di per sé non basta, se la dinamica delle relazioni di potere poi non accompagna l’opera. Lo si sta vedendo in Francia, dove i macroniani hanno concesso a Marine Le Pen il potere di arbitro sul nuovo governo Barnier, e tuttavia la leader del Rassemblement rischia l’ineleggibilità alle presidenziali in un processo iniziato questo lunedì. E lo si vedrà bene in Austria, dove arrivare primi non basta: neppure il bagno di voti salva dal bagno di realtà di una coalizione complicata.

Infatti a Domani il leader del Ppe Manfred Weber fa intendere che per i popolari è meglio fare da perno di una coalizione, assoggettando i socialdemocratici, che farsi dettare la linea da un Kickl cancelliere.

Nient’altro che il potere

Dopo che Kickl ha pronunciato il suo discorso di trionfo domenica notte, i giornalisti sono stati banditi dal quartier generale dell’estrema destra (un’osteria attrezzata per l’occasione da FPÖ), libera così di festeggiare senza inibizione. «Vince il partito antisanzioni», hanno a loro volta festeggiato le agenzie (Tass) dalle parti di Mosca.

Gli analisti austriaci hanno passato la nottata a vivisezionare il voto, concludendone la mattina seguente che i postnazisti vanno più forte nelle zone rurali (tendenza non nuova per la destra estrema) e che reclutano sulla base dell’insoddisfazione: «Il messaggio cruciale è quello anti sistema, sul fatto che le élite non comprendono la gente, ancor più che quello anti immigrazione», ha concluso Christoph Hofinger. Anche su questo Kickl – con la sua retorica no-vax e l’imperativo “Niente armi a Kiev” – impara da Orbán, che è il sistema eppure fa campagne “contro”.

Nel frattempo la sfera pubblica di orientamento liberale in Austria, paese senza cordone sanitario, ha sollevato qualche barriera di opinione: per la settimana è stata annunciata una manifestazione, fissata non per caso di giovedì, come quando, un quarto di secolo (e altri leader di FPÖ, cioè Haider) fa, era nata l’abitudine delle manifestazioni del giovedì contro l’estrema destra di governo.

Non è la prima volta che i postnazisti fissano l’orizzonte del governo (hanno governato a livello nazionale, e governano attualmente in tre regioni, assieme ai popolari), ma si allargano (elettoralmente) sempre di più, così che Armin Thurnher, dalla sua colonna su Falter, voce liberale viennese, confessa: «Sono a corto di superlativi. Già decenni fa dovevo commentare Haider al 10 per cento. Che dire ora? ...”Super orrore”?».

Ma proprio l’esperienza insegna che in Austria per prevedere il futuro – in termini di coalizioni e di governo – bisogna leggere le pure dinamiche di potere, senza farsi distrarre da ipotesi di inibizioni etiche, morali e politiche. «Le promesse pre elettorali cambiano il giorno dopo, e quanto a compromessi con l’estrema destra non c’è neppure bisogno di inseguire altri modelli: sono stati gli austriaci a cominciare, hanno deciso deliberatamente di andare a destra perché hanno visto il potenziale», nota il politologo Johannes Pollak, rettore della Webster University a Vienna.

Già nell’ultimo scampolo degli anni Novanta, dopo aver negoziato in modo tattico coi socialdemocratici che erano arrivati primi alle elezioni, i Popolari austriaci (ÖVP) che erano secondi preferirono allearsi con l’FPÖ di Haider da azionisti di maggioranza – avendo il loro Wolfgang Schüssel come cancelliere – piuttosto che fare i junior partner di altri. E se adesso lo scenario dovesse risultare invertito – se cioè i popolari dovessero preferire i socialdemocratici – sarebbe esclusivamente per questa ragione: i rapporti di forza. Restare loro l’ago della bilancia, e possibilmente che Karl Nehammer resti cancelliere.

I popolari “kingmaker”

Non a caso Manfred Weber, il leader del Ppe, interpellato da Domani sugli scenari, sostiene che Nehammer abbia lui «mandato di formare il governo» e che «gli elettori abbiano nettamente rigettato le ideologie di sinistra: adesso sta all’SPÖ e alle altre forze democratiche impegnarsi in linea con l’agenda dei Popolari e lavorare a un governo pragmatico».

In termini programmatici, ÖVP è assai più vicino a FPÖ (la differenza principale è nell’approccio verso Ue e Usa), ma a meno che l’estrema destra non sia disposta a fare concessioni (che comprendano rinunciare a Kickl come cancelliere) al momento i popolari preferiscono negoziare da azionisti di maggioranza con SPÖ, se non altro perché in entrambi gli scenari la tattica lo suggerisce. Ma, come le parole di Weber fanno capire, nelle pretese dei popolari, i socialdemocratici – che alle elezioni si erano presentati col volto dell’ala sinistra, Andreas Babler, e sono finiti terzi – dovrebbero scolorire non di poco i toni rossi del programma.

Hans Peter Doskozil, governatore del Burgenland che voleva avvicinare l’SPÖ all’FPÖ e che era stato sconfitto da Babler per la presidenza di partito, già mette ostacoli e dice no a ÖVP. Il centro di potere viennese – anzitutto il sindaco Michael Ludwig – invece ha detto sùbito di voler governare. Kickl ha individuato i suoi negoziatori ma l’FPÖ prende tempo e ha rinviato a mercoledì il comitato; anche se si vince, si corre il rischio di restare isolati.

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