«Mi hanno chiesto “Da dove vieni?”, ho risposto che ero afghano. Mi hanno colpito alla gamba, già rotta, e ho lanciato un urlo tremendo per il dolore, ma questo li ha fatti arrabbiare ancora di più e mi hanno preso a bastonate». Il racconto di Farid, un giovane rifugiato, arriva direttamente dalla “death zone”, la “zona della morte”. La chiamano così la frontiera tra Polonia e Bielorussia all’altezza di Hajnowka, nella foresta di Bialowieza, linea di confine che divide l’Europa da ciò che invece, semplicemente, Europa non è.

Qui, lungo un’area cuscinetto che si estende per 60 chilometri e larga appena 200 metri, si riversano questioni e scontri politici che finiscono per ricadere, inevitabilmente, sulle sorti di coloro che tentano di attraversare quel lembo di terra per varcare la prima soglia europea del proprio cammino.

Già a partire dal 2021 Varsavia aveva cominciato a edificare muri e barriere di filo spinato alle frontiere, per un’estensione massima di 400 chilometri. Dalla scorsa primavera, poi, il riacutizzarsi dei flussi in arrivo dalla Bielorussia ha spinto la Polonia a reintrodurre la buffer zone rendendola inaccessibile ai non residenti, compresi giornalisti e gruppi umanitari.

Confine caldo

La tensione ai confini è altissima. Al momento quattro dei sei varchi che consentono in passaggio verso il paese guidato da Alexander Lukashenko risultano chiusi, mentre la “zona della morte” rimane off limits. «Siamo pronti a qualsiasi soluzione in quest’area, perché non permetteremo che questa crisi migratoria causata dalla Bielorussia duri indefinitamente», aveva detto a inizio luglio il vice ministro della Difesa polacco, Cezary Tomczyk.

I dati diffusi dalla guardia di frontiera parlavano di quasi centomila tentativi di attraversamento illegale nell’arco del 2021, annus horribilis per la pressione sui confini polacchi la cui responsabilità sarebbe da attribuire proprio al presidente bielorusso. L’accusa mossa contro Lukashenko è infatti quella di aver avviato da ormai tre anni una sorta di guerra ibrida, spingendo i migranti lungo «una rotta migratoria creata e controllata artificialmente» nel tentativo di destabilizzare e l’Unione europea.

E così, fra dita puntate reciprocamente da una parte all’altra del confine, a farne le spese sono le persone che provano a farsi strada in Europa da est. Da inizio anno si stimano quasi 400 migranti che ogni giorno tentano di oltrepassare la frontiera per proseguire poi, il più delle volte, verso Germania, Francia e Regno Unito.

L’ultima misura

«Non c’è limite alle risorse quando si tratta della sicurezza della Polonia». Il presidente Donald Tusk commentava con queste parole la vicenda di un militare polacco rimasto ucciso lo scorso maggio a seguito di una colluttazione con un gruppo di migranti proprio nella “death zone”. È stato quell’episodio a spingere il governo a intensificare nuovamente la presenza armata lungo il confine bielorusso dispiegando uomini e mezzi di ogni tipo. Un’operazione il cui costo è stimato in oltre due milioni e mezzo di dollari, necessari secondo Varsavia per tentare di arginare l’emergenza: «Abbiamo a che fare con un’operazione coordinata e stratificata su più livelli per rompere il confine polacco e cercare di destabilizzare il paese», ha aggiunto Tusk.

Il 12 luglio l’ultima decisione sulla “zona della morte”. Probabilmente la più forte, che rischia di concedere un fondo di verità al suo stesso nome. Il parlamento polacco ha infatti approvato in prima lettura (401 favorevoli, 17 contrari) una misura che autorizza le forze di sicurezza impegnate alla frontiera con la Bielorussia ad aprire il fuoco contro chi tenti di attraversare il confine in maniera irregolare. Che si tratti di “autodifesa” o di un’azione “preventiva”, poco importa.

Perché la proposta di legge entri in vigore serve il via libera del Senato, ma nel frattempo i media locali già parlano di “diritto di uccidere” legalizzato. Un rischio, quello di poter sparare alle persone lungo il confine, che alimenta le forti preoccupazioni delle organizzazioni umanitarie impegnate nelle retrovie della “death zone”, data l’impossibilità di accedervi fisicamente.

«A causa della zona cuscinetto è già impossibile documentare cosa sta succedendo, incluse le violenze perpetrate dalle guardie di frontiera», ha detto Bartek Rumienczyk, portavoce dell’associazione Grupa Granica, aggiungendo poi che «La nuova legge, se approvata, renderà la zona ancora più pericolosa per le persone in cerca d’asilo».

Le accuse verso Mosca

Il governo di Varsavia, dal canto suo, accusa la Russia di operare un vero e proprio reclutamento di persone che attraversano tutta la Bielorussia fino ad arrivare in Polonia, affermando che quasi l’80 per cento degli arrivi non riguarda migranti o richiedenti asilo, bensì «gruppi organizzati di uomini, di età compresa tra 18 e 30 anni e molto aggressivi».

Le organizzazioni umanitarie, intanto, proseguono nel loro appello affinché si arrivi a una rapida risoluzione dell’emergenza umanitaria lungo il confine: il Norwegian Refugee Council ha presentato al governo polacco, all’Unione europea e alla comunità internazionale una richiesta di «misure urgenti» a sostegno di tutti «i rifugiati intrappolati nella “zona della morte”, dove i più deboli cercano protezione internazionale». Attraverso una serie di partner locali, la Ong è riuscita a calcolare, nel 2021, quasi 20mila richieste di assistenza da parte di migranti, 82 decessi e 9.000 pushback.

Nella “death zone”, resa invivibile dalle temperature estreme e dalla conformazione paludosa del terreno, le frontiere militarizzate e il rischio di poter aprire deliberatamente il fuoco su chi tenta di oltrepassare il confine rappresentano l’ultimo tassello di una profonda crisi umanitaria. Un’emergenza, quella che si vive tra Polonia e Bielorussia, che impone una presa di coscienza a livello più ampio, per contrastare la strumentalizzazione di migranti e richiedenti asilo e per realizzare frontiere finalmente sicure lungo le quali i diritti di chi cerca protezione vengano indiscutibilmente rispettati.

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