Non i governi, né fino in fondo la Commissione Ue. Ma l’Europarlamento è l’istituzione europea che più di tutte ha cercato di mettere un argine alle derive autocratiche di Viktor Orbán; ha anche scelto la nuova fustigatrice del premier, l’olandese Tineke Strik.

E cosa ha fatto Orbán alla vigilia del suo intervento previsto per questo mercoledì in aula, quando – dopo rinvii e imbarazzi per i suoi viaggi a Mosca e Pechino – presenterà la presidenza di turno ungherese che è iniziata già a luglio? Il premier non si è limitato a fare uno show. La sua conferenza stampa imbastita dai Patrioti per l’Europa era in effetti attesa dai cronisti come si attende uno spettacolo, e così è stato, compreso il giovane contestatore che gli lancia cartacce contro.

Ma Orbán ha fatto ciò che davvero poteva stupire tutti: si è descritto come un europeista costruttivo, un uomo del dialogo, e come apoteosi della beffa ha avocato a sé – sì, pure lui – l’agenda Draghi. Lo stesso premier che è noto in patria e all’estero per aver costretto il sistema mediatico ungherese nella direzione unica della propaganda, a Strasburgo si è trattenuto per due ore rispondendo ai cronisti, compresi i suoi connazionali di testate libere.

Poco di quel che ha detto – a partire dalla sua presunta attitudine europeista – regge alla prova dei fatti, a eccezione di qualche sprizzo come «lo spumante che stapperò se Trump vince» o l’intenzione di «cooperare di più» con Mosca. La conferenza stampa di Orbán è l’opera di un troll che dell’Ue si prende beffa, a cominciare dalle sperticate dichiarazioni di stima per Mario Draghi, del quale già mesi fa Orbán disse «I like him» (mi piace).

«Draghi ha detto che l’Europa può morire. Io sarei più moderato», è arrivato a dire questo martedì. L’autocrate, esportatore di strategie con destre estreme di nazionalità varia, adotta la tattica meloniana di mostrarsi a tratti moderato, perché in fondo la sua unica coerenza è perseguire il potere, qualsiasi sia la strada per farlo. «Restare isolati in Ue non è un’opzione: ci provarono con l’Austria imponendole sanzioni durante la prima coalizione di governo assieme all’estrema destra, e guardate come è andata».

Il troll Orbán e l’agenda Draghi

«Se lo interpreto bene, il rapporto Draghi parte dagli stessi assunti filosofici di noi ungheresi», ha detto Orbán ai cronisti. La storia non comincia ora. Ad aprile scorso, in clima di europee, fermato proprio all’uscita di una conferenza stampa organizzata a Bruxelles assieme al Pis e al Rassemblement National, il premier ungherese – interrogato sui rumor di un Draghi ai vertici Ue, magari a capo della Commissione – rispondeva: «Mi piace, Draghi. È un brav’uomo».

Nel corso dei mesi, tanto Orbán quanto il suo gruppo europeo dei Patrioti si sono infilati nello zeitgeist della «competitività», usando (e abusando) pure loro quella parola ormai così in voga in Ue. In Ungheria prolifera chi è nella cerchia del premier e del suo partito Fidesz, dunque la competitività è per modo di dire. Ma cosa intende dire appunto Orbán? C’è ovviamente la tentazione di citare una figura rispettata a Bruxelles per apparire a propria volta nel sistema (o per beffarlo meglio); del resto la stessa Ursula von der Leyen si è appoggiata all’agenda Draghi per legittimare la propria. Ma c’è anche altro.

A fine settembre in Ungheria – un paese che se l’è vista con una inflazione alle stelle e il cui governo conta ormai su prestiti miliardari dalle banche cinesi – il premier ha annunciato «la neutralità economica» come sua politica economica del momento. In realtà è la sua tattica da prima ancora di tornare al governo (un incontro cruciale con Putin è stato nel 2009): ovviamente mantenere il più possibile una sintonia con l’economia tedesca e quindi europea, ma aprire anche a Oriente, alla Russia (dalla quale Orbán compra tuttora energia) e alla Cina (con quelle fabbriche ungheresi di batterie cinesi che rientrano nella filiera dell’automotive tedesca).

Si capisce ora in che modo Orbán pieghi Draghi alla sua “filosofia”: «Nel rapporto Draghi c’è una parte che è di diagnosi, e sulla quale concordiamo al cento per cento. Quanto alle soluzioni, se ne può discutere, ma se lo interpreto bene, lo studio di Draghi dice quel che diciamo noi ungheresi sulla neutralità economica, e cioè che l’Ue non deve seguire automaticamente gli Stati Uniti o altri, ma verificare quale sia il proprio interesse rispetto a Usa, Cina, Russia...».

Su questo punto Orbán torna alla vecchia sintonia con la Germania che per anni (quelli di Merkel soprattutto) lo ha salvato a Bruxelles, e critica ad esempio i dazi Ue contro le auto elettriche cinesi: la scorsa settimana hanno votato contro sia Budapest che Berlino.

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