Socialisti, ecologisti e comunisti proseguono il dialogo con il presidente per un «accordo di non sfiducia» del futuro governo, mentre la France insoumise fondata da Mélenchon resta fuori. Così l’Eliseo centra l’obiettivo di spaccare il Front populaire. E blinda l’aula fino al 2027
Subito dopo aver incontrato tutti tranne Rassemblement National e France insoumise, questo martedì Emmanuel Macron ha promesso un premier nel giro di quarantotto ore, ma prima ancora di nominarlo ha già ottenuto di spaccare il Fronte popolare.
Ci provava da tempo e in svariati modi, compresa l’esclusione forzata della prima forza politica d’aula dal governo, ma non ci era riuscito, fino a quando è stata la compagine stessa della sinistra a consegnarsi a lui, con il miraggio del governo. O almeno, con la promessa di non sfiduciarlo (“accordo di non censura”).
«Socialisti, comunisti ed ecologisti coalizzati tra loro per negoziare con le destre: un ritorno al passato. Tristesse», tristezza, ha commentato questo martedì pomeriggio il fondatore della France insoumise, Jean-Luc Mélenchon, ricevendo dai socialisti la contraccusa: «Vuole spaccare la sinistra», hanno tuonato appena usciti dall’Eliseo.
Botte da orbi, che finiscono per lasciare a terra il nuovo Fronte popolare (insoumis, socialisti, ecologisti e comunisti), già a sua volta riedizione della nuova Unione popolare (Nupes): entrambe nuove e presto logore.
La trappola e la dinamica
Il modo in cui la deflagrazione del fronte si consuma è paradossale. Come un gatto che resta intrappolato nel gomitolo da lui aggrovigliato, Macron è rimasto senza un governo e con la prospettiva di presidenziali anticipate; fino a che una parte della sinistra – invece di passare a capitalizzare politicamente la disfatta di un presidente che ha boicottato in ogni modo il Fronte – si è offerta di sbrogliargli il gomitolo finendone essa stessa intrappolata.
La strategia di Macron emerge dalla campagna elettorale 2022, quando sposta il cordone sanitario contro la sinistra e demonizza Mélenchon.
All’epoca quest’ultimo sbaraglia alle presidenziali, dove molti elettori di sinistra – visto che i progressisti si ostinavano ad andare sparsi – hanno concentrato su di lui un voto utile. Alle legislative di quell’anno, imparata la lezione e pensando al maggioritario secco, i socialisti sono saliti a bordo della Nupes perché era l’unica strada per mantenere una presenza forte in aula.
Il segretario Olivier Faure ha spinto per questa soluzione nonostante il sabotaggio da parte dell’ala centrista (a cominciare da François Hollande) ma l’unione ha retto poco, crollando nell’autunno 2023 sotto i colpi prima di Fabien Roussel (comunisti) poi dei socialisti. Che nel frattempo hanno ripreso consensi, dopo gli anni disastrosi del dopo Hollande; era stato il presidente socialista con sbandamenti neoliberisti a lanciare (anche come ministro) Macron e a lasciare dietro di sé le ceneri di un 6 per cento alle presidenziali 2017.
Estate 2024: la sinistra si ricompatta, e sperimenta un inedito successo diventando (in quanto unita) prima forza d’aula. Sia prima che dopo il voto, i macroniani provano a smembrare il competitor, impedendo che il Fronte arrivi al governo e lanciando ai socialisti l’esca di una federazione «repubblicana» (dal cui novero escludono gli insoumis).
Prima il Fronte resta unito, propone Castets premier; il presidente dopo mesi di logorio (e di cene tra macroniani e lepeniani) nomina Barnier: un governo di minoranza fondato sulla non belligeranza dell’estrema destra. Ma il piano è a orologeria: dura finché Le Pen – col Fronte – lo fa saltare.
«Ma i nostri piani sul dopo sfiducia sono molto diversi», ha detto Faure mentre Barnier cadeva: Mélenchon punta alla caduta di Macron (sempre più impopolare), e viene persino accusato pubblicamente dai socialisti di pensare solo a vincere le presidenziali. Non sarebbe forse, questo, un orizzonte auspicabile anche per i socialisti? «Non ci riuscirà mai», afferma Raphaël Glucksmann, e altri con lui.
In nome della responsabilità di liberare il paese dal caos (creato da Macron), i socialisti chiedono di dialogare coi macroniani, sperando di ottenere un proprio premier; gli ecologisti guidati da Marine Tondelier si associano alla prospettiva del dialogo. Macron tenta di dividere anche loro: al primo giro di consultazioni del dopo Barnier, lascia a casa gli ecologisti e negozia coi socialisti isolatamente.
Mélenchon avverte: «Se si accordano con Macron per un governo, il Fronte continuerà senza loro; noi non governiamo con una destra alla deriva». Ma i negoziati continuano: socialisti, ecologisti e comunisti puntano a un accordo di non censura, un governo che non cada.
Si arriva così a questo martedì pomeriggio: all’Eliseo sono convocati tutti tranne Le Pen e Mélenchon. Mentre quest’ultimo e i socialisti si scambiano accuse, le destre vanno al rialzo: il repubblicano Laurent Wauquiez esclude governi con programmi frontisti, mentre Macron si coordina con l’alleato-ombra Sarkozy. «Le cose procedono ma il dado non è tratto», conclude prima di cena Faure.
L’Eliseo intanto blinda lo status quo: «Niente scioglimenti d’aula prima del 2027», fa sapere in serata, scommettendo sull’accordo “di non censura”. Macron ha già ottenuto di sbriciolare la sinistra: ora ha i negoziati dalla parte del manico. E il paradosso è che sono stati i socialisti (con il fantasma dell’hollandismo) a cederglielo.
© Riproduzione riservata