I francesi, linguisticamente più autarchici, probabilmente si risparmierebbero dal commentare con quel modo di dire anglosassone per cui “misery loves company”, preferendo dire che “la misère se partage”, l’infelicità si condivide. Quale che sia la scelta lessicale, l’incontro di venerdì 6 settembre tra Macron e Scholz aveva tutte le caratteristiche del ritrovo di due uomini in evidente difficoltà, che tentano quasi disperatamente di farsi forza a vicenda.

I due leader si sono incontrati a Évian-les-Bains, sulla riva francese del lago Lemano, a margine di un forum imprenditoriale franco-tedesco, e hanno parlato soprattutto delle priorità della nuova Commissione europea e della situazione in Ucraina. Ma anche il contesto precedente alla visita è simbolico del momento difficile che stanno attraversando i due.

Prima di recarsi in Francia, Olaf Scholz ha incontrato a Francoforte Volodymyr Zelensky, commentando poi su Twitter come la Germania resti «il principale sostenitore» dell’Ucraina in Europa e confermando il supporto tedesco «per tutto il tempo necessario».

Tutti gli errori di Macron e la lezione per la sinistra

Due fragilità

La realtà però è ben diversa: ad agosto una lettera inviata al ministero della Difesa dal ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, sosteneva che, per limitare la spesa pubblica tedesca, dal 2025 i tagli avrebbero riguardato anche il supporto a Kiev, che resterebbe possibile solo attraverso canali paralleli come fondi internazionali e beni russi congelati. L’ennesimo capitolo di una lotta tutta interna ai partiti della coalizione di governo che sta paralizzando l’azione dell’esecutivo.

I risultati delle elezioni nei Länder di Turingia e Sassonia, inoltre, metteranno a dura prova la tenuta del “Brandmauer”, il cordone sanitario contro Alternative für Deutschland. E le elezioni nel Land Brandeburgo, in programma il 22 settembre e con l’estrema destra vicina al 30 per cento nei sondaggi, non faranno che certificare la crisi del sistema tedesco.

Il presidente francese, invece, ha ricevuto in mattinata il neo primo ministro Michel Barnier, per un incontro durato circa un’ora e trenta in cui i due avrebbero parlato principalmente della composizione del nuovo governo e della questione del bilancio per il 2025, che l’esecutivo guidato dall’ex negoziatore per la Brexit dovrà affrontare già entro il primo ottobre. Ma la scelta di Macron, lungi dall’aver disteso la conflittualità nel panorama politico transalpino, lascerà probabilmente enormi strascichi.

Da sinistra, infatti, l’atmosfera parla di un’elezione «rubata» da parte del presidente, e le circa 150 piazze convocate per sabato 7 settembre in protesta saranno lì a ribadire il messaggio. Quello che doveva essere un governo “repubblicano” di pacificazione è diventato un esecutivo tutto spostato a destra, tanto che i socialisti hanno già annunciato il proprio voto di censura contro un premier che non ha «né legittimità politica né repubblicana» e perfino una deputata dell’ala sinistra della maggioranza presidenziale, Stella Dupont, si è definita «delusa» dalla nomina di Barnier.

Senza prospettive

A unire Macron e Scholz, inoltre, c’è anche l’impossibilità di ragionare sul lungo termine. Per il cancelliere tedesco la scadenza del 2025 è “naturale”, e le possibilità di restare al potere dopo le elezioni che si terranno il prossimo anno sono, a giudicare dai sondaggi, prossime allo zero. Anche una nuova Grande coalizione insieme ai cristiano-democratici, ovviamente con un ruolo preminente per questi ultimi, sembra sempre più difficile senza l’inserimento di un terzo partner di governo, vista la crescita di AfD.

La fragilità di Macron, invece, è diventata sempre più evidente dopo le europee. Il governo di Barnier, che si preannuncia fragile e dipendente dalla volontà dei deputati lepeniani di non sfiduciarlo, e l’impossibilità costituzionale di sciogliere l’Assemblea per un anno dopo una precedente dissoluzione, potrebbe lasciare il passo indietro di Macron come unica soluzione possibile in caso di nuova crisi di sistema. Ovviamente, le conseguenze delle difficoltà di Parigi e Berlino non restano mai all’interno dei confini dei due paesi.

L’instabilità delle leadership non può che togliere cavalli al motore franco-tedesco, da sempre indispensabile per ogni riforma strutturale a livello europeo. Un impulso per altro non aiutato nemmeno da un rapporto non sempre facile, anche a livello personale, tra Macron e Scholz. I due sono d’accordo, ad esempio, su una maggiore flessibilità europea per quanto riguarda le politiche sulla concorrenza, per regole meno rigide sugli aiuti di stato e a favore, come testimonia una proposta elaborata dopo un incontro al castello di Meseberg lo scorso maggio, della creazione di grandi consorzi in settori come l’industria aeronautica e le telecomunicazioni.

Le cose si fanno più difficili sulla politica estera e di difesa: la volontà, almeno stando alle dichiarazioni pubbliche, è quella di una maggiore integrazione e autonomia strategica europea, ma le ritrosie tedesche rispetto al riarmo e la gelosia francese per la propria, di autonomia strategica, non hanno permesso grandi passi in avanti. Per non parlare delle trattative in vista del prossimo bilancio pluriennale 2028-34 dell’Ue: su cui le richieste francesi di maggiore generosità sul debito sono destinate a scontrarsi contro un muro o quasi, fintanto che a tirare le redini delle finanze tedesche ci sarà Lindner.

A risollevare le sorti di Macron e Scholz, insomma, difficilmente basterà una reciproca pacca amichevole.

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