Matteo Salvini, il leader leghista che ha esibito le magliette con Putin, è vicepremier. Vale altrettanto per il delfino di Berlusconi: nonostante le “lettere dolcissime”, Antonio Tajani incassa Farnesina e il ruolo di vice. Era davvero inevitabile, per Meloni, che ha fatto dell’«atlantismo» il suo patentino di governo?
Matteo Salvini è vicepremier. Agli occhi del mondo è il leader leghista che ha esibito le magliette con Putin, il populista dei viaggi in Russia, dello scandalo Metropol. In piena guerra, ha incontrato ripetutamente l’ambasciatore russo in Italia. Il suo caso è il più eclatante, ma non è l’unico ambiguo della squadra.
Le «lettere dolcissime» tra il suo mentore Silvio Berlusconi e Putin non hanno frenato la corsa di Antonio Tajani alla Farnesina. Come Salvini, ha ricevuto anche l’incarico di vicepremier. Era davvero una scelta politica inevitabile, per Meloni, che ha fatto dell’«atlantismo» la sua bandiera e il suo patentino di governo? Dopo lo scandalo degli audio di Berlusconi, l’ex presidente dell’Europarlamento, ora ministro degli Esteri, era andato al vertice del Ppe come a Canossa, ribadendo che Forza Italia su sanzioni e dintorni ha sempre votato pro Kiev. Roberta Metsola si è detta «rassicurata», ma la attuale presidente del Parlamento Ue deve la sua nomina anche a Tajani. Il presidente del Ppe, Manfred Weber, è il grande normalizzatore delle destre estreme. Non bastano le benedizioni popolari per sollevare Tajani dal caso vodka: deve a Berlusconi la sua carriera politica e a lui sarà debitore finché il fondatore di FI campa.
Se mai i popolari apriranno le porte a un altro alleato in Italia, lo sguardo va a FdI, con cui il dialogo è già avviato. Il merito politico è del nuovo ministro degli Affari europei. Da capogruppo dei conservatori e luogotenente di Meloni in Ue, Raffaele Fitto ha fatto progredire l’avvicinamento ai popolari. Si muove con abilità e non ha vodka nel curriculum, ma certo ha un legame forte con gli alleati ultraconservatori polacchi.
Non disdegna neppure il filoputiniano Viktor Orbán: il suo gruppo all’Europarlamento rifiuta di definirlo «autocrate», e lui stesso questo mese ha condiviso il palco con Balázs Orbán che si scagliava contro le sanzioni a Mosca. L’omonimo del premier ungherese, e suo braccio destro, dirige una “istituzione educativa” filogovernativa, l’Mcc di Budapest.
Alla Cultura, non in Ungheria ma qui a Roma, viene proiettato il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, autore di una biografia il cui titolo parla da sé: “Putin”.
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