L’Osservatorio di Bruxelles rileva che nella Ue il novanta per cento delle offerte media più diffuse proviene d’oltre Atlantico. Il Freedom Act istituendo “un quadro comune per i servizi di media nell’ambito del mercato interno” crea le condizioni minime per la risposta dell’Europa. Le associazioni dei produttori chiedono che la competenza guidi la discrezionalità delle Commissioni ministeriali che erogano il grosso delle sovvenzioni
È risaputo che da circa un secolo le imprese e i mestieri dell’audiovisivo europeo sono una banlieue dello show business americano, e l’Osservatorio di Strasburgo oggi aggiorna la misura accertando che il novanta per cento delle offerte media più diffuse nella Ue proviene da oltre Atlantico. Qui non dominano le vecchie major use a far man bassa al botteghino, perché applicazioni di ricerca, social e streaming (Google, Facebook, Netflix) hanno allungato la presa ai ricavi pubblicitari. Il mondo della comunicazione europeo ha così cominciato a inaridirsi per davvero insieme alle occasioni di lavoro di legioni di giovani iperalfabetizzati e più che pronti a far la loro per film, fiction, news (sportive), animazione, videogiochi,
Questa è la faglia problematica che, a partire dalla metà del decennio scorso, ha dato la stura ai regolamenti (cioè disposizioni direttamente attuative) della Ue nel campo delle applicazioni di rete e dell’intelligenza artificiale generativa (che da esse è scaturita), fino al Freedom Act che ad aprile chiude il cerchio perché «istituisce un quadro comune per i servizi di media nell’ambito del mercato interno». Dove “quadro comune” significa unificare l’unificabile per consentire alle imprese nazionali di muoversi e far fortuna a livello continentale.
Soldi pubblici e nuove regole
Volgersi alla visione del “quadro comune” sarà un’impresa titanica per regolatori, imprese, maestranze, abituati a fare i loro conti entro un quadro nazionale. A partire dall’uso del servizio pubblico come servizio di fazioni che cozza con l’articolo 5 del Freedom Act che detta «il funzionamento indipendente dei fornitori di media di servizio pubblico», intesi come imprese pubbliche tenute a perseguire una esplicita “missione” e finanziati secondo «criteri trasparenti ed oggettivi stabiliti in anticipo».
Ma a ripensarsi nei fini e nei metodi sono anche i rivoli di risorse pubbliche che permettono di esistere a un vasto mondo di competenze e di mestieri organizzati nelle imprese del settore. Si tratta di un comparto che negli anni scorsi non è restato immobile e ha collaudato i vantaggi del pensare in grande quando alcune imprese meglio predisposte hanno colto l’occasione di ottenere commesse dalle piattaforme, anche grazie alla base finanziaria di sovvenzioni automatiche, non soggette alla discrezionalità di comitati erogatori e alla strategica sponda di palinsesto e contributo al budget offerta dalla Rai.
Diversa la sorte dei tanti produttori che dalle erogazioni discrezionali e quindi dai sussulti della politica continuano a dipendere. Esperti sommi dell’assemblaggio di agevolazioni pubbliche d’ogni genere, anche dai privati disposti, bontà e fini loro, a metterci dei soldi. Concatenazioni in cui ogni anello, anche minimo, è indispensabile, ed esposte alla catastrofe quando proprio quest’anno s’è verificato un prolungato ritardo ministeriale nell’assegnazione dei fondi stanziati nel 2023 (a causa di modifiche pare necessarie a evitare il ripetersi cronico di abusi).
In altri tempi dalle categorie in sofferenza sarebbe emerso il grido “Basta chiacchiere” e “Dacce i soldi”. Stavolta invece gli interessi pur dolenti hanno ragionato al livello del “quadro comune” del mercato europeo, svelti a comprendere che lì c’è il destro per puntare non solo al contributo, ma anche alla fortuna effettiva del prodotto.
Così, oltre a reclamare come è ovvio i contributi, hanno stilato una lettera al ministero competente in cui unanimi richiedono che le commissioni erogatrici siano sì discrezionali, ma abbiano la competenza necessaria per l’esercizio né arbitrario né sbarazzino di un simile potere, e dunque siano formate esclusivamente da «professionisti di comprovata esperienza nei campi della creazione, sviluppo, produzione, e distribuzione di opere audiovisive a livello nazionale e internazionale; esercenti ed esercenti di cinema d’essai; selezionatori dei principali festival italiani e internazionali; lettori per broadcaster e piattaforme, questi ultimi con almeno un’esperienza triennale; membri della giuria di concorsi nazionali o internazionali come il Premio Solinas; lettori di Eurimages e di Europa Creativa (sistemi di sovvenzione per opere inter-europee); esperti nel campo della promozione cinematografica e nella valorizzazione culturale del territorio».
Una tassonomia utile fra l’altro per dare a chi la cerca un’idea di alcune abilità cruciali nella macchina che da cento anni ci sommerge di favole e scoperte.
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