Se il governo di Giorgia Meloni ha lavorato in fretta sul progetto dei centri per migranti in Albania per guadagnare consenso interno, derogando alle norme sugli appalti e mettendo a rischio il rispetto dei diritti umani, il premier albanese Edi Rama – che gode già di approvazione nel paese – con il protocollo in materia migratoria ha acquisito riconoscimento internazionale, sicuramente utile a dare una spinta al processo di integrazione di Tirana nell’Unione europea. Proprio mentre la prima imbarcazione della marina militare italiana, con a bordo 16 migranti, era in viaggio verso il porto di Shëngjin, dove è sorto uno dei centri, l’Ue ha aperto ufficialmente i primi capitoli negoziali per l’adesione dell’Albania.

Ieri in Lussemburgo si è svolta la seconda conferenza intergovernativa ed è stato aperto il primo cluster dei “Fondamentali” che racchiude cinque capitoli negoziali tematici. Lo ha annunciato su X il commissario europeo all’Allargamento, Oliver Varhelyi, definendo un «traguardo importante» quello raggiunto dall’Albania, che ha «portato a termine le riforme richieste» con «determinazione» e «impegno».

Il passo avanti di ieri per Rama è una «pietra miliare storica», ha detto a margine della conferenza, aggiungendo che è stata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia a permettere un’accelerazione. L’Albania aveva ottenuto lo status di candidato dal 2014, a cinque anni dalla richiesta del 2009. Solo nel 2022 sono stati avviati i negoziati di adesione, ma fino all’anno scorso, nel report sullo stato di avanzamento, la Commissione parlava di un «progresso limitato» di Tirana, sulla politica regionale e sul coordinamento degli strumenti strutturali. E di una «moderata soddisfazione».

Un esempio per l’Ue?

Ora però il processo sembra andare spedito, tant’è che l’obiettivo di Rama è di concludere entro il 2030. L’Unione ha bisogno dei Balcani, aggiunge, e il fenomeno migratorio spiega «perché l’Ue e i Balcani occidentali dovrebbero stare più vicini e lavorare insieme».

Il protocollo siglato con l’Italia, continua, dovrebbe essere considerato un modello, ma è la «relazione speciale» tra i due stati ad aver garantito il patto. Agli altri paesi che lo hanno richiesto, conclude Rama, «abbiamo detto no». Sulla stessa linea, la partner di progetto Meloni che, nelle comunicazioni al Senato sul prossimo Consiglio europeo di domani e venerdì, dopo aver attaccato l’organizzazione non governativa Sea Watch, ha affermato: «L’Italia ha dato il buon esempio», scrivendo una «strada nuova» che «rispecchia perfettamente lo spirito europeo» e che «ha tutte le carte in regola per essere percorsa anche con altri stati».

È stata però la benedizione delle istituzioni Ue, e in particolar modo della presidente della Commissione, a legittimare l’intesa. «Continuiamo a esplorare possibili strade per sviluppare centri di rimpatrio al di fuori dell’Ue», ha scritto lunedì sera von der Leyen nella lettera ai capi di stato e di governo dell’Unione, ricordando come il protocollo Italia-Albania aiuterà a «trarre lezioni pratiche».

Peccato che «al momento non sia legalmente possibile per l’Ue avere l’opzione del rimpatrio dei migranti in paesi terzi», ha precisato la portavoce della Commissione europea per gli Affari interni, Anitta Hipper, in un briefing a Bruxelles. Non è però escluso che questo profilo venga introdotto in futuro nel quadro giuridico. Di certo sarà un tema al Consiglio Ue, dove è previsto un incontro informale tra gli stati membri più interessati al fenomeno migratorio.

Verso Shëngjin

Intanto questa mattina alle 8 la nave Libra della marina militare dovrebbe arrivare nel porto di Shëngjin. A bordo 16 cittadini egiziani e bengalesi, provenienti quindi da paesi considerati sicuri, che nel secondo centro – quello di Gjader – verranno sottoposti alle procedure accelerate di frontiera.

La premier in Senato ha elogiato il «pragmatismo e l’efficacia nel contrasto all’immigrazione illegale» delle azioni del governo. Ma ci si chiede in che modo avvenga il contrasto strutturale all’immigrazione irregolare, con il trasferimento di sedici persone e il relativo costo. Dall’intesa sembrava che il trasporto in Albania avvenisse solo una volta riempita la nave hub, mentre la Libra è salpata verso le coste albanesi con l’8 per cento dei passeggeri. «Per una missione di quattro o cinque giorni il costo del carburante, dell’equipaggio, del personale, oltre alla gestione quotidiana, si aggira intorno ai 200mila euro», spiega Laura Marmorale, presidente di Mediterranea, l’ong che proprio ieri ha salvato con la Mare Ionio 58 persone. «Il costo di questa operazione propagandistica chi lo copre?», chiede Marmorale, «e quante volte accadrà ancora?».

I costi vivi si aggiungono poi ai milioni di euro già spesi per tutta l’operazione. Tra questi, oltre 60 milioni affidati senza gara dal ministero della Difesa per la costruzione dei centri, come rilevato da Domani. Dopo la nostra inchiesta Angelo Bonelli, deputato di Avs, ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministero dell’Interno per chiedere l’elenco delle società affidatarie e sub-affidatarie dei lavori, e gli eventuali controlli svolti in merito a un possibile legame tra queste e la criminalità organizzata albanese.

«Ci siamo presi del tempo in più perché tutto fosse fatto nel migliore dei modi», ha detto Meloni in Senato, ma per le opposizioni è uno sperpero di denaro pubblico che potrebbe essere investito nella sanità, invece di sostenere «colonie detentive», «infernali centri di detenzione», «in spregio ai diritti fondamentali».

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