Dai documenti ottenuti da Domani risultano commesse anche da 10 milioni assegnate senza alcun bando. Lo scudo della Difesa è un ostacolo ai controlli dell’Anac. Timori per possibili verifiche della Corte dei conti
L’unica regola è fare presto. Pertanto l’imperativo governativo esclude il rispetto del codice degli appalti per come i comuni mortali lo conoscono. D’altronde l’Albania è lontana dall’occhio vigile delle autorità di controllo. È il buco nero dei centri di detenzione per migranti. Il grande piano di cui il governo di Giorgia Meloni va più fiero.
Presentato dopo il naufragio di Cutro, il progetto dei centri albanesi è stato venduto all’opinione pubblica come la soluzione all’invasione inventata dalla narrazione sovranista.
Centri pericolosi per il rispetto dei diritti umani, e per le casse pubbliche. I contratti di affidamento diretto, ottenuti da Domani, raccontano di procedure inusuali per chi maneggia commesse pubbliche di una certa importanza e valore. Si tratta di decine di appalti assegnati senza gara a partire da fine marzo fino a settembre. Affidamenti diretti, appunto, che sommati valgono oltre 60 milioni di euro.
Denaro che, risulta dagli atti, è stato gestito principalmente dal ministero della Difesa, tramite l’articolazione SegreDifesa, in particolare dalla divisione Direzione dei Lavori e del Demanio, guidata dal generale ispettore Giancarlo Gambardella: nominato lo scorso 28 dicembre, è la persona che per conto del governo dovrà curare tutta la partita Cpr.
La caccia alle aziende anche albanesi per realizzare il sogno di Meloni e Piantedosi è iniziata ad aprile. I primi due affidamenti, per esempio, portano la data del 15 aprile 2024: «Fornitura in opera di strutture prefabbricate alloggiative metalliche modulari di tipo 3 presso la località di Gjader» e «Fornitura in opera di strutture prefabbricate alloggiative metalliche modulari di tipo 1 presso la località di Gjader e Shengjin». In totale, confermano dalla Difesa, sono stati spesi per i moduli prefabbricati 25 milioni di euro, affidati senza gara a quattro aziende diverse.
Gjader e Shengjin sono le località che ospiteranno i due centri, l’uno funzionale all’altro. A Gjader è stata realizzata la struttura di trattenimento, il centro di permanenza vero e proprio, eretto sul sedime di una ex base militare abbandonata. Qui i migranti verranno spediti in autobus dall’hotspot di Shengjin, allestito in un’area del porto della cittadina turistica albanese, che dista mezz’ora di auto. Se a Shengjin è filato tutto liscio, lo stesso non si può dire per Gjader. Le criticità evidenti erano state segnalate in diverse relazioni: dall’assenza di impianti alla necessità di bonificare l’area da possibili ordigni inesplosi. Che fosse complessa l’operazione Gjader lo dimostrano anche i costi.
Un altro affidamento degno di nota è del valore di 10 milioni di euro per la «realizzazione di impianti elettrici a Gjader». Chi è la fortunata azienda? Impossibile saperlo. Così come resta anonima l’impresa cui sono stati affidati i «Lavori di realizzazione rete di raccolta e scarico delle acque meteoriche e sistema di telerilevamento» pari a 1,3 milioni di euro. E anche quella che, per oltre 7 milioni, si è aggiudicata gli «scavi, riporti e realizzazione di recinzioni, cancelli e canali». Il 12 luglio, poi, sono stati affidati i «Lavori per la realizzazione opere accessorie e di rifinitura presso Gjader» al prezzo di 1,4 milioni. Una settimana prima Segredifesa aveva ingaggiato altre due aziende: spesa totale 12 milioni per due affidamenti che vanno dagli «impianti speciali» a opere in «calcestruzzo» agli impianti «idrici e fognari». Spesa notevole anche quella da oltre 9 milioni per realizzare «pali per campo prove», ossia fondazioni per stabilizzare le strutture. L’elenco potrebbe continuare con affidamenti sotto il milione ma comunque sopra la fatidica soglia di 500mila euro, superata la quale andrebbe fatta una gara.
Di certo nel cantiere di Gjader ha lavorato manovalanza kossovara e albanese. C’è poi la poca trasparenza sulle aziende scelte sul territorio. Non esiste un elenco pubblico. Come se in quel cantiere non vigesse la normativa sulla trasparenza in vigore nel nostro paese. Eppure l’area dei lavori, secondo il protocollo firmato da Meloni e il premier albanese Edi Rama è territorio italiano: i centri, infatti, operano in regime di extraterritorialità.
«L’unica azienda albanese affidataria è stata sottoposta a controlli tramite Banca dati antimafia», dicono dalla Difesa, che assicura che, nonostante l’assenza di gare, gli «operatori sono stati selezionati sulla base della comprovata esperienza nel settore».
Questa pratica di affidare senza gara per rispettare l’imperativo del «fate presto» ha creato non poche preoccupazioni all’interno degli uffici della Difesa: cosa succederebbe con una eventuale verifica della Corte dei Conti o di altri organi deputati al controllo? Le deroghe applicate sono giustificate. «Gli affidamenti oltre la soglia si sono resi necessari in considerazione dei tempi ristretti per la realizzazione delle stesse», è la replica della Difesa, che aggiunge: «Qualsiasi tipo di affidamento tramite gara competitiva sarebbe stato incompatibile con le tempistiche».
Tuttavia è proprio la decisione di spostare l’intero pacchetto Albania sotto il controllo del ministero della Difesa che ha permesso di non dover sottostare ai limiti del codice degli appalti e di non essere sottoposti al controllo dell’Autorità anticorruzione (Anac), confermano fonti qualificate dell’organismo. I centri per migranti «opere destinate alla difesa e sicurezza nazionale». Come fossero basi navali o missilistiche, arsenali. Chi può allora monitorare sulle modalità di spesa di oltre sessanta milioni di euro con affidamenti diretti è il Copasir, Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica con funzioni di vigilanza sull’operato dell’apparato di intelligence. Ma solo a certe condizioni: potrebbe occuparsene se dovessero emergere questioni relative alla sicurezza nazionale in senso lato.
Ma non ci sono norme che prevedono l’obbligo di una rendicontazione o una comunicazione da parte del ministero della Difesa al comitato. Le deroghe e la competenza della Difesa però non impediscono alla Corte dei conti di garantire un controllo sulla spesa: c’è una specifica sezione della magistratura contabile che si occupa di contratti secretati e atipici.
Far ricadere, dunque, la partita Cpr sotto il cappello della Difesa ha permesso al governo di sviare da quelli che sono i limiti e i controlli ordinari, che sarebbero stati previsti, ad esempio, se la competenza fosse rimasta al Viminale. Tutto questo per «fare presto».
Il circo delle inaugurazioni
«Partirà probabilmente tra qualche giorno», ha annunciato ieri Meloni. L’ordine di accelerare è arrivato dalle alte sfere del governo. Ma è difficile immaginare che né la premier né il ministro dell’Interno fossero a conoscenza del cronoprogramma ufficiale dei lavori: le relazioni interne della Difesa, pubblicate da Domani a marzo scorso, indicavano la fine tra metà ottobre e l’inizio di novembre. Perché allora il governo ha dato in pasto ai media veline che davano come giorno dell’inaugurazione prima maggio, poi agosto, poi settembre e infine un giorno imprecisato della prossima settimana? In un ciclo continuo di avvisi su aperture imminenti puntualmente smentite dalle immagini di cantieri senza ancora opere strutturali, siamo così arrivati alla fine di ottobre: i centri sono «da oggi operativi», ha detto ieri l’ambasciatore italiano.
In realtà dovrebbero essere realmente operativi dal 18 ottobre. Con buona parte di Gjader ancora da ultimare. Senza contare che a intralciare i piani del governo c’è una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che ha messo in discussione tutto il progetto dei centri in Albania.
Così il grande piano di deportazione, con tutti i milioni spesi in appalti, potrebbe trasformarsi in una grande beffa albanese per Meloni.
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