Le autorità italiane stanno portando un gruppo di persone provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto nei centri costruiti sulla base del protocollo firmato da Giorgia Meloni e l’omologo Edi Rama. Dopo l’inchiesta di Domani, Bonelli (Avs) ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno sulle società affidatarie dei lavori
La nave Libra della marina militare sta portando il primo gruppo di persone migranti verso l’Albania, dove venerdì sono state ultimate le strutture di trattenimento, volute dal governo Meloni e previste dal protocollo firmato dalla premier con l’omologo albanese Edi Rama.
Nell’operazione curata dal ministero dell’Interno sarebbe stato fatto un primo screening a bordo, riporta Ansa, per verificare che possano essere applicate le procedure accelerate di frontiera. In base alle dichiarazioni del governo infatti nei centri albanesi possono essere portate persone provenienti da paesi di origine sicuri, mentre minori, persone con disabilità, anziani, donne in gravidanza, vittime della tratta di esseri umani e altri soggetti con esigenze particolari dovrebbero invece essere condotte in Italia.
Rassicurazioni che, come aveva rilevato Domani, si scontrano con quanto previsto da una mappa allegata a una relazione del Genio militare dopo un sopralluogo di gennaio scorso, dove è previsto un locale di 28 metri quadri chiamato “attesa minori”.
I primi migranti a bordo della nave diretta in Albania sono cittadini bengalesi ed egiziani, che si trovavano a bordo di alcuni barchini intercettati la notte scorsa in acque internazionali da parte di motovedette delle autorità italiane. Sono poi stati trasferiti sulla Libra che dovrebbe arrivare sulle coste albanesi mercoledì mattina.
I centri
La nave della marina militare sbarcherà al porto di Shëngjin, nel nord del paese, dove verrà effettuato un primo screening, nel centro costruito all’interno dello scalo. In questa struttura, secondo il protocollo, le persone salvate in acque internazionali vengono sottoposte alle procedure di identificazione e fotosegnalamento, per poi essere trasferite a una cittadina a una ventina di chilometri nell’entroterra, Gjadër, dove il Genio militare ha gestito la realizzazione di tre aree: un centro di trattenimento, simile a un hotspot, un Cpr e un istituto penitenziario.
Il primo, da bando, potrà ospitare 880 persone per l’esame dell’eventuale domanda di asilo; il secondo per 144 persone avrà le funzioni dei centri di permanenza per il rimpatrio, per chi non avrà diritto alla protezione. Il carcere, invece, è stato pensato per chi, tra le persone trattenute in Albania, dovesse commettere reati.
Una buona parte del centro di Gjadër, sorto in un ex sedime militare, deve però essere ancora ultimata e per ora la capienza è ridotta. Ma per fare presto sono state aperte le strutture, anche se inconcluse, grazie a decine di contratti di affidamento diretto chiuse dal ministero della Difesa del valore di milioni di euro, saltando le procedure ordinarie: oltre 60 milioni senza gara né, nella maggior parte dei casi, informazioni sulle aziende affidatarie, come rivelato da Domani.
Dopo la nostra inchiesta Angelo Bonelli, deputato di Avs, ha presentato un’interrogazione parlamentare a risposta immediata in assemblea, con cui chiede al ministro dell’Interno di fornire l’elenco delle società affidatarie e sub-affidatarie dei lavori per la costruzione dei centri, e gli eventuali controlli svolti in merito a un possibile legame tra queste e la criminalità organizzata albanese.
Le procedure
I migranti ricevono quindi un provvedimento di fermo del questore di Roma, sulla base del quale vengono trattenuti. Un provvedimento che deve essere convalidato entro 48 ore dai giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma. E, secondo quanto previsto per le procedure accelerate di frontiera, l’esame delle domande di protezione internazionale dovrà essere concluso entro 28 giorni.
Le udienze saranno principalmente in videoconferenza così come i colloqui delle persone trattenute con i loro legali, d’ufficio o di fiducia. Non è però chiaro come si svolga il processo di nomina dei difensori di fiducia e rimangono molti dubbi sui modi in cui verrà garantito pienamente il diritto di difesa.
Paesi sicuri
Proprio in vista dell’apertura dei centri, il governo italiano ha ampliato la lista dei paesi di origine sicuri: il 7 maggio scorso, da 16 sono diventati 22 e – oltre a Tunisia, Costa d’Avorio, Marocco, Nigeria – sono stati aggiunti, tra gli altri, proprio il Bangladesh e l’Egitto, paesi da cui vengono le persone che viaggiano sulla Libra.
A intralciare i piani del governo, però, una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha messo in discussione la definizione di paese sicuro e di conseguenza tutto il progetto dei centri in Albania.
Per i giudici europei un paese può essere considerato sicuro solo se lo è nella sua interezza, ma per la maggior parte dei 22 stati designati dal governo questo non accade, perché si escludono determinate categorie di persone o parti di territorio. In base alla decisione, non possono essere considerati sicuri, tra gli altri, l’Egitto, il Bangladesh, la Nigeria.
Le reazioni
L’ong Sea Watch, che opera come flotta civile nel Mediterraneo, ha sottolineato su X come il governo «degli autopronunciati patrioti» stia spendendo «centinaia di milioni di euro dei contribuenti per deportare e incarcerare qualche migliaia di migranti in Albania». Per l’organizzazione «le tasse degli italiani» potrebbero «essere spese meglio, per accogliere e includere, anziché respingere».
Alle accuse dell’ong ha risposto direttamente la premier su X, difendendo l’operato del «governo che – con un mandato chiaro ricevuto dai cittadini – lavora per difendere i confini italiani e fermare la tratta di esseri umani, attraverso azioni concrete e accordi internazionali».
Sea Watch ha quindi chiesto alla premier quali siano le «azioni concrete», se siano «finanziare cosiddette guardie costiere composte dai veri trafficanti di uomini» o «incarcerare migliaia di innocenti perché guidavano l’imbarcazione su cui sono arrivati».
Sono poi molti i parlamentari dell’opposizione ad aver sollevato l’ingente impiego dei fondi pubblici per la costruzione delle strutture, mentre servizi essenziali come l’assistenza sanitaria stanno sempre più soffrendo tagli alle spese.
A partire dalla segretaria del Partito democratico Elly Schlein. «Il governo di Giorgia Meloni alza le tasse e sperpera quasi un miliardo di euro dei contribuenti per i centri migranti in Albania», ha commentato Schlein, «in spregio ai diritti fondamentali delle persone e alla recente sentenza europea sui rimpatri che fa scricchiolare l’intero impianto dell’accordo».
Risorse che per Schlein potevano essere usate «per accorciare le liste di attesa o per assumere medici e infermieri [...] È gravissimo aver scelto di depotenziare il servizio sanitario nazionale nonostante ogni anno più di quattro milioni e mezzo di persone in Italia non riescano a curarsi».
I centri costruiti dall’Italia in Albania sono «la dimostrazione plastica di come è stato sperperato quasi un miliardo di euro dei contribuenti italiani», ha detto il senatore Pd Michele Fina, «per una struttura che viola il diritto internazionale e per la quale l’Italia è sotto osservazione Ue».
«Colonie detentive», le ha definite Riccardo Magi, segretario e deputato Più Europa, che non portano l’Albania in Europa, ma l’Italia fuori dall’Unione e «fuori dal diritto europeo». Le persone che saranno trasferite in Albania, prosegue il deputato, «saranno illegalmente detenuti in maniera collettiva», e potranno parlare con i loro avvocati solo in video. «Un enorme spreco di denaro per uno spot elettorale di Meloni che va a ledere il diritto europeo e anche italiano», conclude.
Anche per Bonaccini, presidente del Pd ed europarlamentare, è «una scelta di pura propaganda». «Uno sperpero di risorse pubbliche» per Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, usato per «infernali centri di detenzione».
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