- L’Istat ha annunciato l’ennesimo calo della natalità. Con un tasso di fertilità di 1,17 figli per donna l’Italia si avvia a chiudere l’anno con meno di 400mila nuovi nati.
- Il nostro paese sembra incapace di prendere sul serio quella che è probabilmente la minaccia più seria al suo futuro.
- Le implicazioni di questo declino saranno imponenti e toccheranno moltissimi settori dell’economia.
L’Istat ha annunciato l’ennesimo calo della natalità. Con un tasso di fertilità di 1,17 figli per donna l’Italia si avvia a chiudere l’anno con meno di 400mila nuovi nati.
Secondo il copione, oggi comparirà l’ennesima intervista allarmata al presidente del forum delle associazioni familiari e forse saranno interpellati un paio di noti demografi. Poi ripiomberà il silenzio. Fino al prossimo bollettino Istat.
Il nostro paese sembra incapace di prendere sul serio quella che è probabilmente la minaccia più seria al suo futuro. Molti di fronte alla questione della denatalità obiettano che va letta nel contesto dell’aumento della popolazione globale: per questi il nostro calo demografico è addirittura auspicabile.
La realtà è diversa: la denatalità è un fenomeno globale che interessa sostanzialmente tutti i continenti ad eccezione dell’Africa. Molti paesi, anche molto popolosi come la Cina o ricchi come la Corea del Sud, condividono con noi tassi di fertilità molto bassi.
Altri paesi sviluppati come Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e paesi scandinavi oggi sono messi leggermente meglio e si preparano un declino gentile in futuro. Paesi importanti e popolosi come i Bric (Brasile, India, Sud Africa e Cina) hanno tassi di fertilità inferiori a due.
Così anche Turchia e Iran. La popolazione mondiale continuerà ad aumentare ancora un po’, ma questo accadrà grazie all’aumento dell’aspettativa di vita e all’“effetto Africa”. Tutti gli esperti concordano nel ritenere che il picco della popolazione mondiale verrà raggiunto molto prima di quanto fino ad oggi preventivato. Forse già poco dopo la metà del secolo.
Declino economico
Le prospettive italiane sono particolarmente problematiche. Il 2020 si è concluso con un bilancio di sette morti ogni quattro nati, con un saldo negativo totale di 342mila unità. Secondo l’Istat entro la data nella quale la popolazione globale dovrebbe toccare il suo picco l’Italia avrà perso quasi dieci milioni di residenti.
Le implicazioni di questo declino saranno imponenti e toccheranno moltissimi settori dell’economia. Si comincia dal risparmio privato delle famiglie, che è largamente investito in beni immobili che mantengono il loro valore solo se c’è domanda abitativa.
Una popolazione in contrazione non può che implicare un taglio netto di questa ricchezza, che può innescare spirali tra risparmio e consumi potenzialmente molto pericolose. Di fronte al calo della domanda abitativa aggregata non ci sono ristrutturazioni, bonus facciate o efficientamento energetico che tengano.
Le imprese saranno messe in difficoltà dal calo della domanda interna e dovranno anche affrontare una carenza di manodopera di cui già si vedono le prime avvisaglie.
Dal punto di vista pubblico le conseguenze promettono di essere anche più inquietanti. L’Italia fronteggia da vent’anni dei tassi di crescita anemici che hanno fin qui reso molto difficoltoso domare il problema del debito pubblico.
È difficile immaginare una crescita del Pil solida a fronte di una contrazione della popolazione, anche potendo disporre del miglior Pnrr immaginabile. Un numero sempre minore di persone si dovrà fare carico del fardello futuro del debito pubblico.
Anche la spesa pubblica subirà cambiamenti importanti: ci saranno certo dei risparmi modesti sul fronte della scuola e delle politiche familiari, dove già si spende poco, ed aumenterà in proporzione invece la spesa sanitaria e per le pensioni, che già fa la parte del leone.
Inoltre i costi fissi di mantenimento delle infrastrutture del paese, pensate per servire una popolazione di 60 milioni di persone, dovranno essere sostenuti da una popolazione più piccola, con un inevitabile aumento delle tasse.
Questo era l’anno giusto per affrontare seriamente la questione, avendo a disposizione le risorse del Pnrr. Il bilancio è invece largamente negativo.
La riforma delle politiche familiari che si è per ora concretizzata nella misura dell’assegno unico e universale è quasi una falsa partenza, perché le poche risorse aggiuntive messe a disposizione hanno imposto di creare una norma altamente selettiva e paternalista che è l’esatto contrario di quello di cui c’era bisogno. Inoltre, nella riforma fiscale in discussione scompaiono del tutto le detrazioni fiscali per i figli a carico rendendo il nostro sistema fiscale completamente cieco rispetto alla questione della denatalità. Come se non fossimo sull’orlo dell’abisso.
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