Il tribunale di Avignone ha dato il massimo della pena possibile a Dominique Pelicot, che per nove anni ha drogato la moglie somministrandole di nascosto un farmaco per l’ansia, il Temesta, poi l’ha fatta stuprare da uomini reclutati su una chat online. Sono in tutto 51 gli imputati nel processo
«Penso alle vittime non riconosciute le cui storie spesso rimangono nell’ombra. Voglio che sappiate che condividiamo la stessa lotta». Con queste parole Gisèle Pelicot ha ricordato perché ha deciso di far tenere il processo a porte aperte: «La vergogna deve cambiare campo», aveva detto dopo una delle prime udienze. E da quella volta ha mantenuto la parola, mostrando a tutto il mondo la sua sfera più privata, lasciando che dettagli intimi della sua vita fossero pubblicati sui giornali, esponendosi in prima persona nel tentativo di dare voce a chi non ce l’ha.
Il processo è iniziato il 2 settembre al tribunale di Avignone e stamattina sono stati pronunciati i verdetti: vent’anni di carcere per Dominique Pelicot, il massimo della pena possibile in Francia. Insieme a lui sono stati condannati 46 uomini per aver stuprato Gisèle, due per tentato stupro e altri due per aggressione sessuale, hanno ricevuto condanne tra i 3 e i 15 anni, meno di quelli che erano stati chiesti dall’accusa. Condanne giudicate troppo lievi dalle femministe francesi e anche dai figli di Pelicot, come ha detto un membro della famiglia citato da France Presse.
Il marito (oggi ex) di Gisèle, Dominique, per nove anni ha drogato la moglie somministrandole di nascosto un farmaco per l’ansia, il Temesta, poi l’ha fatta stuprare da uomini reclutati su una chat online oggi chiusa mentre lui riprendeva tutto con una videocamera.
“Monsieur tout-le-monde”
In tribunale c’erano 51 “monsieur tout-le-monde”, uomini comuni tra i 27 e i 74 anni. Tra loro c’erano falegnami, camionisti, un infermiere, un giornalista, un esperto informatico. Qualcuno ha figli, una moglie, una fidanzata, molti di loro sono – o meglio, erano – persone insospettabili, uomini normali con lavori normali e famiglie normali. Molte mogli hanno ammesso di non avere idea che il compagno potesse fare una cosa simile e Gisèle per prima ha detto che Dominique era un padre e un nonno affettuoso, la persona con cui pensava avrebbe passato il resto della vita. Eppure, sono proprio quegli insospettabili ad aver violentato una donna visibilmente incosciente in casa sua.
Nei soli dintorni di Mazan, dove i Pelicot abitavano, Dominique è riuscito a trovare una settantina di uomini pronti a mettere in pausa la propria giornata, arrivare a casa Pelicot, abusare di una donna inerme per poi rivestirsi e tornare alla propria vita. E ad alcuni una volta non è bastata: un uomo è tornato sei volte.
Nonostante Gisèle fosse visibilmente incosciente, nonostante non avesse mai dimostrato o affermato di essere consenziente, molti degli uomini che hanno preso parte al processo hanno detto di ritenersi innocenti, che quello non era uno stupro. Ad alcuni è bastato avere il via libera del marito, altri hanno pensato che lei stesse dormendo o fosse stanca o che si trattasse di un gioco erotico. Qualcuno durante le udienze ha chiesto scusa a Gisèle, ma nessuno in nove anni di abusi ha segnalato alle forze dell’ordine le violenze che quella donna stava subendo.
Il ruolo di Gisèle
La storia di Gisèle Pelicot è straordinaria per il numero elevato di persone che ha abusato di lei e perché, al contrario di come spesso accade, esistono prove video che dimostrano come si sono svolti gli stupri.
La decisione di tenere un processo a porte aperte ha permesso a tante persone anche fuori dalla Francia di conoscere questa vicenda da vicino e, di conseguenza, di mostrare sostegno prima e dopo ogni udienza. Gran parte della città si è unita a Gisèle, aspettandola fuori dal tribunale, applaudendola, organizzando manifestazioni in tutto il paese, riempiendo Avignone di manifesti.
Dopo che sono stati rese pubbliche le sentenze Gisèle Pelicot ha detto di non aver mai rimpianto la decisione di aprire le porte del processo, «volevo che la società potesse vedere i dibattiti. Ho fiducia nella nostra capacità di creare collettivamente un futuro in cui tutti, donne e uomini, possano vivere in armonia nel rispetto e nella comprensione reciproca». Qualche piccolo cambiamento in questi mesi già è avvenuto, ad esempio il governo ha deciso di far vendere in farmacia (e di rimborsare) kit in grado di rilevare se si è state drogate. Al momento è una misura sperimentale che però dimostra la nascita della consapevolezza del problema.
Il processo Pelicot è stato uno spartiacque nella consapevolezza su questo tema, tanto che l’ex primo ministro francese Michel Jean Barnier ha detto che «c’è un prima e un dopo Mazan».
Merci Gisèle
Le decisioni di Gisèle, oltre ad aver aperto un dibattito sulla sottomissione chimica, hanno dato vita a manifestazioni in tutta la Francia, portando anche alcuni gruppi femministi a formare una coalizione per costruire una «legge integrale» contro la violenza sessuale. Ma soprattutto il caso Pelicot ha messo in luce che, come ha detto uno dei due avvocati della signora Pelicot durante un’udienza, «il profilo dello stupratore non esiste».
Quindi «merci Gisèle» per aver contribuito a smontare la retorica dello stupratore come mostro, come malato, come pazzo. Perché dietro la sbarra in questi mesi ci sono stati padri, fidanzati, mariti ed ex mariti, falegnami, giornalisti, infermieri, pensionati, giovani, anziani, proprio quei “monsieur tout-le-monde” di cui nessuno prima avrebbe mai sospettato.
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