Rexinho “Gino” Abazaj non verrà estradato in Ungheria. La decisione è arrivata nel pomeriggio del 9 aprile e segna la fine di un’odissea che va avanti da oltre quattro mesi. Il 32enne italo-albanese era stato arrestato in Francia a metà novembre su mandato d’arresto europeo diramato dall’Ungheria di Viktor Orbán, che lo accusava di aver partecipato agli scontri di Budapest contro i neonazisti nel giorno dell’Onore di febbraio 2023.

Gli stessi che avevano portato all’arresto di Ilaria Salis. Nelle settimane scorse Gino era stato scarcerato e posto ai domiciliari. Ora la pronuncia più importante da parte della Corte d’appello di Parigi, che ha riconosciuto i rischi a cui sarebbe andato incontro nelle prigioni ungheresi. «Ha vinto la democrazia», spiega a Domani il papà di Gino, Refik Abazaj.

La repressione ungherese

L’Ungheria di Orbán ha accusato Gino di essere tra gli antifascisti che hanno preso parte agli scontri del giorno dell’Onore del 2023, un raduno neonazista che celebra i soldati tedeschi e ungheresi sconfitti dall’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale. Gino è l’ultimo di una lunga lista di 17 antifascisti colpiti dalla repressione della giustizia ungherese per quei fatti.

Il caso più noto è quello di Ilaria Salis, che ha passato un anno e mezzo nelle carceri ungheresi in condizioni degradanti, tra cimici, topi, celle chiuse quasi tutto il giorno e assenza di vestiti di ricambio.

Gino è stato arrestato una prima volta per il mandato ungherese in Finlandia, dove viveva da parecchi anni, e per questo è finito ai domiciliari. Poi è fuggito in Francia, ma a metà novembre è stato arrestato anche lì e messo nel carcere di Fresnes, nell’hinterland parigino. A quel punto è iniziata la lunga trafila di udienze per la sua estradizione in Ungheria.

I suoi avvocati sin da subito hanno sollevato le problematiche che avrebbe comportato un suo trasferimento a Budapest. Condizioni disumane delle carceri, mancanza di autonomia dei giudici, scarsa possibilità di celebrare un processo equo. E poi la sproporzionalità delle pene rispetto ai fatti che gli sono stati contestati. Gino rischiava fino a 16 anni di carcere, nonostante l’assenza di prove concrete di un suo coinvolgimento diretto nei pestaggi di due nazisti a Budapest e nonostante le loro ferite fossero state definite guaribili in pochi giorni.

Le autorità ungheresi hanno però continuato a parlare di «pericolo di morte» e bollato gli antifascisti come parte di «un’organizzazione criminale», accuse considerate di tipo politico in un paese che ha fatto dell’autoritarismo un marchio di fabbrica e dove né il premier Viktor Orbán né altri membri del governo hanno mai preso le distanze dalle parate neonaziste del Giorno dell’Onore.

Gino libero

A gennaio, dopo due mesi di detenzione nelle carceri francesi, la Corte d’appello di Parigi aveva sollevato dubbi sulla possibilità di un equo processo per Gino in Ungheria. Al paese erano state chieste una serie di garanzie giudiziarie e a fine marzo i giudici francesi avevano deciso di scarcerarlo e metterlo ai domiciliari, dandogli comunque la possibilità di ottenere permessi per uscire di casa.

Il 9 aprile la Corte d’appello si è riunita per deliberare una volta per tutte sull’estradizione di Gino. E l’ha negata, sottolineando rischi elevati di violazione dei diritti fondamentali così come definiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), in particolare in tema di condizioni di detenzione e di garanzia di un giusto processo.

Allo stesso tempo a Gino sono state revocate le misure cautelari ed è dunque un uomo libero, dopo un’odissea detentiva durata quattro mesi, a cui va aggiunta la persecuzione subita quando si trovava in Finlandia.

«Sono quattro mesi che aspettavamo questa notizia», spiega a Domani il padre, Refik Abazaj. «Abbiamo passato insieme lo scorso weekend perché gli avevano dato un permesso. Quando mi ha accompagnato all'aeroporto mi ha detto che era fiducioso, siamo molto felici che sia finita così. Ha vinto la democrazia». Refik da diversi mesi fa la spola tra Pavia, dove vive insieme alla moglie e alla figlia, e Parigi, per assistere alle udienze e stare vicino al figlio.

Questa volta non è riuscito ad andare a causa di urgenti motivi di lavoro, ma presto potrà riabbracciare Gino. 

Senza la mobilitazione dei suoi amici e di alcuni giornali forse non saremmo oggi qui a festeggiare questa notizia», ci tiene a sottolineare Refik. «Voglio ringraziare tutti, anche la giustizia francese per questa decisione così importante».

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