Un generale, e non uno qualsiasi. Il più alto in carica tra quelli uccisi per mano ucraina, stando almeno alle ricostruzioni e alle prime parziali rivendicazioni giunte da Kiev. Igor Kirillov, 54 anni, però non era soltanto questo, ma il massimo responsabile delle Forze di Difesa radiologica, chimica e biologica in servizio agli apparati militari russi.

Era dunque da tempo nel mirino di Kiev. Pure in senso giudiziario. Lunedì, soltanto poche ore prima rispetto alla sua uccisione, era stato condannato in contumacia da un tribunale ucraino per la responsabilità negli attacchi con sostanze chimiche sul suo territorio, oltre 4800 secondo le autorità ucraine.

Poi l’attentato, in Rjazanskij Prospekt, in un quartiere sud-orientale di Mosca. L’esplosivo inserito in un monopattino parcheggiato sul marciapiede (equivalente a circa 300 grammi di Tnt) ha ucciso lui e il suo assistente, Ilja Polikarpov, che era andato a prenderlo in casa alle sei del mattino . Inutili i soccorsi, immediata l’apertura delle indagini – facilitate dalla presenza di dash cam sul posto, che non sembrano lasciare dubbi sulla dinamica.

I reati ipotizzati dal Comitato investigativo sono tre, omicidio, terrorismo e traffico illegale di armi, ai sensi degli articoli 105, 205 e 222 del codice penale russo.

Rivendicazioni e smentite

In attesa di ulteriori riscontri, Mosca ha subito puntato il dito verso Kiev. Ma per una volta le due versioni sembrano concordare. I servizi ucraini dell’Sbu non hanno nascosto la paternità dell’azione, almeno stando alle dichiarazioni fatte trapelare alla stampa da una loro fonte interna: «Kirillov era un criminale di guerra e un obiettivo completamente legittimo, poiché ha dato ordine di usare armi chimiche proibite contro l’esercito ucraino. Una fine così ingloriosa attende tutti coloro che uccidono ucraini. La punizione per i crimini di guerra è inevitabile». Mentre la posizione ufficiale dell’Ucraina, espressa dal consigliere del suo presidente Mykhailo Podolyak, sembra più attendista, negando per il momento la complicità nell’attentato.

Da parte russa, oltre alle prevedibili esternazioni del vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale Dmitrij Medvedev (che promette vendetta), la portavoce degli Esteri Maria Zakharova ha ricordato il ruolo di Kirillov nella difesa del Paese, svolta proprio nel campo delle armi proibite. Poi un’accusa speculare, non solo dell’omicidio mirato ma anche delle azioni «anglosassoni» che lo stesso Kirillov aveva denunciato durante i suoi anni in servizio. Tra queste, le «provocazioni della Nato» per l’utilizzo di armi chimiche in Siria, di cui era stato incolpato Assad, nonché quelle sul suolo britannico legate al caso Skripal. Infine le attività dei biolaboratori trovati a Rubižne, Severodonec’k e Kherson, che avrebbero dimostrato la volontà occidentale di fabbricare prove chimiche contro la Russia.

Igor Kirillov era stato in effetti molto attivo nel campo della controinformazione russa, oltre a essere una vecchia conoscenza del nostro Paese – sua, benché a distanza, la supervisione dell’operazione “Dalla Russia con amore”, agli ordini del generale Sergej Kikot, condotta nel 2020 con gli scopi ufficiali di ricerca e d’aiuto nella lotta al Covid.

Le piste dell’omicidio

Una pista del suo omicidio potrebbe ricondurre alla scoperta o fabbricazione di informazioni che avrebbero potuto mettere in difficoltà il governo ucraino, già in pressing per gli sviluppi bellici sul campo e i fermenti occidentali post elezione di Donald Trump. Ipotesi che troverebbe qualche conferma nella dichiarazione di Sergej Sitnikov, governatore della regione di Kostroma, che alla russa Rbc ha rivelato di aver sentito dallo stesso Kirillov preoccupazioni sull’inizio di una caccia nei suoi confronti, seguita alla scoperta di nuovi laboratori biologici nel territorio ucraino.

Il generale aveva pure denunciato – pubblicamente, in conferenza stampa con gli addetti militari delle ambasciate straniere – di avere informazioni sui piani di Kiev di organizzare raid con le cosiddette “bombe sporche”. E aveva presentato alla Difesa un briefing sull’uso di armi chimiche ucraine nell’oblast’ di Kursk.

In assenza di ulteriori verifiche, resta comunque in piedi la pista più evidente, quella dell’omicidio eccellente dall’alto impatto simbolico. Tre gli obiettivi di Kiev, se il suo coinvolgimento trovasse conferma definitiva: dimostrare di poter colpire ovunque (e chiunque), tenere (relativamente) alto il morale delle proprie forze con un’azione spettacolare, oltre che spregiudicata, e infine spaventare le autorità russe, che peraltro dovranno interrogarsi sui livelli di sicurezza assicurati ai propri vertici militari (e non solo).

Si tratta infatti della più grave violazione subita nel territorio russo, almeno in senso simbolico, dopo il lancio di due droni contro il Cremlino il 3 maggio 2023, azione tanto clamorosa da suscitare subito dubbi negli osservatori. Qui invece i dubbi sono pochi, data la (parziale) rivendicazione ucraina e l’improbabilità di un attentato con matrice interna. Non emergono infatti contrasti recenti tra Kirillov e la leadership militare o politica del suo Paese.

Restano da vedere gli effetti di una simile azione. Al di là delle ritorsioni promesse dalla Russia, l’evento segnala una permeabilità inquietante del suo territorio. E della sua capitale, già più volte oggetto di attacchi ucraini. Se fino al 2022 i timori erano di segno opposto, ovvero legati alla penetrabilità dei servizi ucraini a fronte della numerosa presenza di fiancheggiatori russi nel Paese di Zelens’kyj, gli ultimi due anni di guerra sembrano aver svelato la tendenza opposta – anche per l’incapacità di Mosca di colpire con le stesse modalità le figure di vertice di Kiev.

Al di là delle reciproche influenze, che hanno mostrato da subito a tutti i pericoli di una guerra fratricida, va comunque segnalato il fondamentale ruolo delle intelligence degli alleati di Kiev (statunitensi e britannici su tutti). Collaborazione che Mosca non può vantare con nessuno, almeno di pari grado e a questi livelli esecutivi.

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